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POTENZA – Sono saliti a tre i ricorsi al Tar del Lazio contro la nomina della barese Chiara Civitano come presidente della sezione penale del Tribunale di Matera, decisa a gennaio dal Consiglio superiore della magistratura. Mercoledì prossimo, infatti, il plenum dell’organo di autogoverno delle toghe dovrà esprimersi sulla costituzione in giudizio contro Angela Rosa Nettis, da anni in servizio proprio nella sezione penale del Tribunale di Matera, che ha chiesto l’annullamento della nomina come già fatto in precedenza da altri due aspiranti all’incarico. Vale a dire il giudice materano della sezione civile Giuseppe Disabato, e della consigliera della Corte d’appello penale di Potenza, Angela D’Amelio.

Nel mirino di Nettis è finito, in primis, l’operato della Quinta commissione del Csm, competente per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, quale è una presidenza di sezione. In particolare la sua esclusione dalla terna di candidati sottoposti al voto finale del plenum. Esclusione che a suo avviso sarebbe stata determinata da un’ingiusta ri-considerazione di “vicissitudini disciplinari” che pure si erano concluse senza alcun tipo di sanzione nei suoi confronti. In particolare per le dichiarazioni attribuitele dal Corriere della Sera a marzo del 2008, in relazione a un caso di cronaca assai noto.

Ovvero la morte dei fratellini di Gravina, Francesco e Salvatore Pappalardi. Quando difese il provvedimento adottato qualche mese prima dal collegio del Tribunale del riesame di Bari, di cui faceva parte, nei confronti del padre dei due fratellini, Filippo Pappalardi, arrestato con l’accusa di omicidio. Nonostante fossero già emerse le prime evidenze di una caduta accidentale dei due fratellini in un pozzo poco distante dal luogo da dove erano scomparsi un paio due anni prima.

«L’aver ritenuto (…) di poter dare rilevanza ad un procedimento disciplinare valutato, in, via definitiva, illegittimo – così la Quinta commissione riassume i contenuti del ricorso – e, di contro, non aver minimamente considerato né dato atto degli esiti del precedente procedimento, poi, archiviato, evidenzierebbe per la dottoressa Nettis l’erroneità, l’arbitrarietà e l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto basati su un’istruttoria asseritamente carente e fondata su una rappresentazione dei fatti parziale».

Altre doglianze, poi, attengono al mancato accoglimento della richiesta del giudice materano di essere ascoltata, dopo la formazione della “terna”, la maggiore esperienza nel settore penale rispetto a Civitano, e la particolare «conoscenza del territorio cui afferisce l’incarico de quo e della complessiva e complessa realtà criminale che la affligge», derivata dalla lunga permanenza nella città dei Sassi.

Severa la replica dell’ufficio studi di Palazzo dei marescialli, che nella bozza di delibera con la proposta di costituzione al Tar a difesa della nomina di Civitano, ha rivendicato la legittimità delle valutazioni effettuate dalla Quinta commissione sulla vicenda dei fratellini.

«La delibera gravata – si legge nella bozza – dà atto della circostanza che la sentenza disciplinare, pur cassata senza rinvio per questioni di carattere procedurale, ha comunque evidenziato l’effettiva sussistenza dei fatti oggetto di incolpazione, ovvero del rilascio da parte della dottoressa Nettis della intervista di cui si è detto poi pubblicata sul Corriere della sera. Tale fatto, sempre negato dalla ricorrente, è stato, infatti, confermato sia dalla giornalista autrice dell’articolo in argomento, che dalla collega della predetta che aveva assistito all’intervista telefonica.

Tenuto conto dell’effettivo rilascio dell’intervista de qua e del contenuto oggettivo di essa, il Consiglio ha ritenuto che le dichiarazioni rese in quella sede dalla dottoressa Nettis, del tutto indipendentemente dalla successiva proficua evoluzione per la ricorrente del procedimento disciplinare, assumano un ruolo particolarmente rilevante nella procedura concorsuale in esame: “sotto un duplice profilo: hanno leso l’immagine del Pappalardo accreditando nell’opinione pubblica la convinzione del suo coinvolgimento nella morte dei figli e ciò avvalendosi della sua autorità di giudice che, pertanto, conosceva bene la vicenda ed hanno tentato di interferire nel giudizio di coloro che avrebbero esaminato successivamente la questione”.

In sostanza il Consiglio ha valutato che la condotta in parola assuma un rilievo specifico, a prescindere dal fatto che non abbia avuto poi i seguiti disciplinari per ragioni procedurali, con riferimento ad un difetto in capo alla ricorrente del possesso dei prerequisiti di legge indipendenza, l’imparzialità e l’equilibrio, imprescindibili condizioni per un corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali, da valutarsi esplicitamente, ai fini del conferimento e della conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi».

La valutazione dell’esperienza di Civitano era stata contestata anche nel ricorso presentato da D’Amelio, criticando la minore considerazione della sua esperienza in Corte d’appello rispetto a quella svolta, in primo grado, dalla collega proveniente da Bari. Come pure la sua maggiore esperienza nel settore penale, 28 anni contro 26 anni e 10 mesi, «e per di più con modalità promiscue in relazione sia al periodo corrispondente ai primi tre anni di carriera che al periodo dal settembre 2019 all’11 maggio 2021, durante il quale la dottoressa Civitano è stata applicata alla Sezione immigrazione».

D’Amelio aveva lamentato anche una serie di lacune nella sua valutazione rispetto alle esperienze professionali maturate, e «la valorizzazione in favore della dottoressa Civitano dell’esperienza da questa svolta presso il Tribunale di Bari in quanto ufficio di grandi dimensioni», introducendo una sorta di penalizzazione per chi, come lei, ha prestato servizio più a lungo in uffici giudiziari più piccoli. Nel suo caso a Melfi.

Si era concentrato sulla carenza «dei requisiti attitudinali previsti» nel curriculum della neo presidente di sezione, rispetto alla «capacità organizzativo-gestionale», e all’«utilizzo delle tecnologie informatiche», invece, il ricordo di Disabato.

Il giudice originario di Montescaglioso, la cui candidatura era stata sostenuta in Quinta commissione dal togato di Magistratura indipendente Antonio D’Amato, aveva sottolineato le sue proprie esperienze organizzative e competenze informatiche, stigmatizzando che il Csm non abbia superato con una congrua motivazione «il difetto dei ridetti requisiti attitudinali» nella scelta di Civitano, sostenuta dal consigliere laico di Forza Italia, Alessio Lanzi, e dalla togata della corrente di sinistra di Area, Alessandra Dal Moro.

Disabato aveva anche criticato, a sua volta, il maggior peso che sarebbe stato attribuito all’esperienza della concorrente in quanto maturata in un ufficio giudiziario più grande di quello di Matera come quello di Bari, equiparandola, di fatto, a un’esperienza direttiva.
l.a.

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