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Il cantautore crotonese Dalen con Roberto Vecchioni

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CROTONE – Si conclude oggi a Padova, nella città che lo ha adottato artisticamente, l’Urgenza Tour di Dalen, il cantautore crotonese reduce da 30 concerti autogestiti, senza booking né management e soprattutto da one man band. Un tour che sembrava impossibile, e che professionisti del settore gli sconsigliavano. «Non siamo più negli anni Settanta», gli bisbigliava qualche manager che storceva il naso anche rispetto ai testi socialmente impegnati. Ma alla fine Dalen ha percorso in lungo e in largo l’Italia, macinando migliaia di chilometri, autopromuovendosi e aprendo il cuore delle persone. Anche in Calabria. Per esempio, a Jacurso, quando si è messo improvvisamente a piovere e anziché rinunciare a suonare ha invitato qualcuno del palco ad aiutarlo a montare la strumentazione su un balcone. E lo show è continuato, davanti a quel palcoscenico improvvisato, con la gente sotto che non si schiodava nonostante la pioggia battente. L’altra sfida è che Dalen va avanti per un’ora e mezza proponendo canzoni inedite. Partito da Bari, durante il suo percorso sono stati numerosi gli incontri artistici che lo hanno incoraggiato a proseguire su questa strada. Roberto Vecchioni, a Casabona, per esempio, lo ha incitato a continuare a scrivere canzoni come “Crotone”, dedicata all’alluvione del ‘96. Canzoni di cui c’è bisogno. Anzi, urgenza.

Ritiene che ci sia spazio anche in Calabria per la sua proposta da one man band?

«C’è spazio ovunque per questo tipo di offerta nella misura in cui c’è la gente che ti ascolta. Il problema della Calabria è, anche, che è una regione spopolata. Manca effettivamente tutta una fascia di popolazione, di età dai 18 ai 25 anni, gli anni in cui si è meno appesantiti dai doveri della vita si è più liberi e curiosi di ascoltare musica dal vivo. Sono loro l’ingranaggio che spinge in maniera più decisa la macchina della cultura. In Calabria, tranne che nel periodo estivo, quando questi ragazzi rientrano e il pubblico si livella, ai concerti vengono soltanto ultrasessantenni, pensionati che vivono una seconda giovinezza e sono molto partecipi, o giovanissimi. Nessuno ha investito in questo tour, mi hanno messo davanti a un bivio: “se strutturi la tua proposta con una band troviamo più situazioni”, ma non volevo a scendere a compromessi».

Se c’è un solo artista sul palco l’impatto non risulta ostico ai più?

«Dipende da chi c’è sul palco. Uno dei complimenti che ricevo durante il momento delle foto e degli autografi, da parte di amministratori e organizzatori, è che ammettono con sincerità che inizialmente c’era stata diffidenza perché ero da solo a suonare e cantare, ma che vedendo lo spettacolo è poi svanita questa loro diffidenza. Durante un concerto in provincia di Catanzaro, a Jacurso, per esempio, improvvisamente viene a piovere. Allora ho chiesto al pubblico di aiutarmi a caricare impianto, audio e luci su un balcone di una piazza storica. Alla fine è venuta fuori una situazione bella, il concerto è ripreso e il pubblico che poteva pure ripararsi ha preferito restare. Vedo in giro band di cinque elementi molto meno comunicative».

L’urgenza è anche quella di raccontare verità scomode…

«Esatto. Verità scomode, di cui si parla poco o in maniera filtrata. Preferisco chiamare le cose col proprio nome e senza fare troppi giri, sia che si tratti di mafia o violenza di genere o razzismo. Per questo mi associano agli anni Sessanta, Settanta, magari per scoraggiarmi dall’andare avanti. Il pubblico più interessato mi dice che apprezza i testi anche perché oggi è difficile ascoltarli da un giovane, oggi non c’è tutto questo lavoro sulle parole e i concerti sono solo spettacolo e hanno più a che fare con luci, balli, vestiti. Non con le parole. Al massimo sono ammesse frasi piccole e facili da ripetere».

Gli incontri artistici che l’hanno più segnata durante il tour?

«Con Roberto Vecchioni è stato un incontro meraviglioso. Aveva ascoltato “Crotone”. Nel camerino mi dice: “perché non sali e apri tu il mio concerto?”. Poi il tour manager ha spiegato che non era più possibile tecnicamente, non c’era tempo per fare il sound check. La cosa più bella è stata quando mi ha detto “Fottitene di tutti e vai avanti per la tua strada, abbiamo bisogno di canzoni come questa in Italia”. Per me è stato un momento di intensa emozione».

Che ne è della musica popolare, con cui si era ritagliato spazi importanti?

«Ora sto scrivendo e registrando canzoni in lingua italiana. In questi brani potrebbero trovare spazio alcuni strumenti della musica popolare, ma senza forzature».

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Alice Possidente

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