Giuseppe Sculli ai tempi in cui giocava nel Genoa
3 minuti per la letturaCROTONE – Spunta anche l’ex calciatore Peppe Sculli, il nipote di Giuseppe Morabito classe ‘34, detto “il Tiradritto”, indiscusso capo della omonima cosca di ‘ndrangheta di Africo, del mandamento jonico della provincia di Reggio Calabria, nelle carte dell’inchiesta Glicine Acheronte, condotta dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Megna del quartiere Papanice di Crotone e un presunto comitato d’affari. Sculli, non indagato, noto alle cronache anche per il coinvolgimento in un’inchiesta sul calcio scommesse all’epoca in cui militava nel Crotone, viene evocato nel filone papaniciaro poiché sarebbe stato contattato dagli emissari del boss Domenico Megna per gestire uno dei ristoranti di Milano che l’imprenditore genovese Alessandro Frescura aveva promesso al clan al quale si era rivolto per chiedere “interventi” risolutivi nei confronti di quanti – un architetto, un avvocato, i proprietari di un locale che reclamavano degli insoluti – tentavano legittimamente di recuperare compensi per il proprio operato svolto in suo favore.
Gli inquirenti parlano di un vero e proprio “patto criminale” che verrebbe alla luce durante uno dei numerosi viaggi compiuti in Nord Italia da Mario Megna, ritenuto la figura emergente del clan, seguito dai coindagati Salvatore Cervinaro e Pietro Curcio nelle sue trasferte. Per la mediazione della cosca, Frescura avrebbe promesso, come contropartita, la gestione a costo zero di tre ristoranti e la disponibilità di un attico da locare in pieno centro a Milano. Man mano che Frescura elenca le problematiche da “risolvere”, Mario Megna celebra la potenza della cosca papaniciara in Nord Italia. «Io qui ho rapporti con tutti…con te non mi sono mai incontrato a Milano…a Varese… sul lago di Garda non ne parliamo… Desenzano, Sirmione, io quando vado là sono il padrone, sono a casa mia», direbbe in una delle conversazioni intercettate il rampollo del clan crotonese.
Quindi Mario Megna descriveva il controllo ‘ndranghetistico di una vasta zona e rassicurava Frescura che, per esempio, nei confronti dell’architetto, avrebbe compiuto un’intimidazione per costringerlo a consegnare il denaro. In questi termini. «Ora che ci conosce si rende conto che lei di questo pane non ne può mangiare, lo sa perché? Perché non ha i denti a posto, non ce la fa a masticarlo, non è suo, non gli appartiene». «Se volete i miei ristoranti, l’attico ed il negozio…se la fidejussione va bene», rispondeva Frescura promettendo, a quanto pare, la cessione gratuita dei locali. Le richieste di Frescura si placano quando Mario Megna viene arrestato ma a quel punto gli inquirenti documentano un crescente interesse della cosca papaniciara per i ristoranti, con l’intervento diretto del boss Domenico Megna. Da una breve conversazione fra il boss e il presunto affiliato Gaetano Russo, nel corso della quale questi afferma “glielo dico a Peppe”, gli inquirenti deducono il placet del capocosca al coinvolgimento dell’ex calciatore nell’affare.
Russo incontrerà a Roma Sculli per prospettargli la gestione “gratuita” del ristorante milanese e il nipote del boss di ‘ndrangheta “Tiradrittu” si mostra subito interessato, indicando anche una persona per l’intestazione del locale; uno che si sarebbe occupato esclusivamente delle successive incombenze. «Un locale al centro di Milano, per cinque anni, è uno di Genova, mi ha detto “ti porto le chiavi”», sostiene Russo. E l’ex calciatore: «Davvero, e dov’è? Andiamo a vedere, compà… lo prendiamo noi». All’incontro con Sculli partecipa anche una persona che farà successivamente visita al boss di ‘ndrangheta a Crotone. L’affare alla fine non andrà in porto ma per gli inquirenti la “tipicità” dello scambio criminale non è in discussione e denota l’interesse della cosca a infiltrarsi nelle attività economiche milanesi.
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