3 minuti per la lettura
Brema (Germania), 7 set. (askanews) – Difficile oggi immaginare la Germania come un Paese-punto di partenza di flussi migratori. Ma è stato proprio così in passato. E i tedeschi non lo dimenticano. A Brema, città anseatica che nei suoi mille anni di storia fu anche sede dell’armatore tedesco Norddeutscher Lloyd – ovvero il creatore di transatlantici all’avanguardia che arrivarono a compiere la traversata dell’oceano in meno di 5 giorni all’inizio degli anni 30 – rimangono molti segni di un passato che racconta quando noi europei eravamo migranti. Uomini, donne e bambini, spesso con valigie di cartone e muniti solo della speranza di raggiungere il Nuovo Mondo dove conoscere la vera fortuna.
Enormi e velocissime navi come l’Europa e la Brema uscirono dai cantieri Norddeutscher Lloyd, imbarcazioni che più volte vinsero il nastro azzurro per la velocità di navigazione. I passeggeri si registravano dove oggi sorge un hotel, il Courtyard by Marriott Bremen, ma che all’epoca era il quartier generale dell’armatore e che ha mantenuto vivo il ricordo del passato di quel palazzo sontuoso (esponendo poster e materiali originali d’epoca), passaggio d’obbligo per depositare i propri dati e partire per le Americhe.
Secondo lo “Yearbook of Immigration Statistics 2015” americano i flussi dalla Germania cominciarono ben prima di quelli dall’Italia: 976.072 individui nel decennio 1849-1859 (34,68% del totale di 2.814.554 immigrati), mentre tra il 1879 e 1889 arrivarono a 1.445.181 persone (sempre dai porti tedeschi, ovvero il 27,53% del totale di 5.248.568, di cui poco meno di 268 mila dall’Italia). E come scriveva la data journalist Talia Bronstein in merito alle polemiche sorte nel 2017 dopo il divieto temporaneo di Trump all’immigrazione da sette nazioni a maggioranza musulmana: “Indipendentemente dalle mosse politiche future, quasi 200 anni di immigrazione suggeriscono che nessun leader o atto legislativo è in grado di fermare il diversificato flusso di immigrati verso gli Stati Uniti”.
Ma non è stata solo l’America – aspetto ancor più sorprendente dell’emigrazione dalla Germania – una destinazione. Anche l’Italia. Come è ad esempio scritto in “Napoli Cosmopolita” di Dieter Richter (Electa Napoli) nella prima metà dell’Ottocento “il cosiddetto ‘walz’ ovvero l’obbligo di girovagare durante il periodo dell’apprendistato, faceva parte del tirocinio di ogni garzone, artigiano tedesco secondo quanto stabiliva l’ordinamento delle corporazioni. E il Golfo di Napoli per i giovani artigiani girovaghi era tanto affascinante quanto lo era per i viaggiatori del Grand tour”.
E poi ancora partirono in molti, dal porto di Brema e poi da quello della città balneare di Bremerhaven, a 70 chilometri di distanza. Provenivano da Oldenburg, Sassonia, Austria-Ungheria e Russia, in fuga dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni o dalla mancanza di prospettive: in un commovente viaggio storico dal molo di Bremerhaven verso la stazione di emigrazione Ellis Island fino alla vita da immigrato nella New York del XIX e XX secolo.
Racconta anche questo il pluripremiato Centro tedesco dell’emigrazione a Bremerhaven, più di un semplice museo: dalla sua apertura nel 2005 si è trasformato in un’istituzione di importanza nazionale che offre ai visitatori l’esperienza di cosa significhi essere un migrante. Oltre ad essere un luogo di incontro e di ricerca applicata sulla migrazione. Con una funzione educativa sia per le classi di studenti, sia per gli adulti che lo visitano, tedeschi e non.
(Di Cristina Giuliano)
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA