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Grassa, brutta e pettegola. Però. La madre di tutte le malelingue del Novecento. Ha fatto scuola e proseliti, inventando il gossip ante litteram. Capace di stroncare chiunque oppure di inventarsi, dal nulla, una star, scrivendo appena due righe. Usava la penna come un ferro da stiro e la lingua come una centrifuga. Sapeva tutto di tutti, distillando battute al curaro. Temuta, riverita, rispettata, davanti a lei si srotolavano i tappeti rossi. Per gli editori era una manna, per i vip del tempo un incubo. Giocava (metaforicamente) nei tavoli dell’high society con poste da capogiro. Una Maestra nel ramo.

La celeberrima giornalista americana Elsa Maxwell (Keokuk, Ioxa 1883 – New York 1963). Innamorata pazza di Maria Callas, la Divina, ne fece strame. E prima ancora, la sua relazione amorosa, durata cinquant’anni, con Dorothy Fellows-Gordon sino alla troppo stretta amicizia con la famosa arredatrice lesbica Elsie De Woolf (Lady Mendl). Trovò fertile terreno sulla scena hollywoodiana, ingaggiando tremendi duelli con altre due comari del gossip, Louella Parson ed Edda Hopper.

Quando gli altri celebravano il divame, lei ne demoliva le fondamenta. Una sorta di Terminator. E viceversa. Fu ancora lei a combinare l’incontro tra Aristotele Onassis e Maria Callas attraverso l’organizzazione di una crociera sulla mitica “Christina”, alla quale parteciparono il primo marito della Callas, Giovan Battista Meneghini, gentiluomo perdutamente innamorato e fresco becco, e Wiston Churchill che si godette gli agi della vecchiaia dopo la gloria della guerra vinta. Ottenne il bis facendo incontrare, successivamente il miliardario greco e Jacqueline Kennedy, fresca vedova. «Vestiva come una cameriera», annotò Montanelli dopo aver incontrato la grande Elsa, ma quanto  a potere… Ai ricevimenti della Maxwell, che paradossalmente non amava la ricchezza e non si ornava di gioielli, c’erano Clark Gable, Tyrone Power e Linda Christian, Darryl Zanuck e Jack Warner, Charles Feldman, principi e principesse, imprenditori miliardari famosi nel mondo…

Altro grande maldicente della storia fu Oscar Wilde, re dei paradossi e di battute caustiche. Molti dei suoi dardi, tuttavia, gli si ritorsero contro. Ed ancora: Roger Peyrefitte, cosmopolita e romanziere degli amori proibiti, che ha deliziato i suoi lettori mettendo alla berlina i riti di ricchi e famosi, svelandone con ironia i segreti.

Dopo la pubblicazione di “Le chiavi di San Pietro” (1955), in cui venivano svelati intrighi in Vaticano (il libro fu immediatamente ritirato in Italia, dove tornò in circolazione molti anni dopo grazie ad un’amnistia) e fu fatto pedinare giorno e notte dalla polizia. Il quotidiano Paese Sera, nel 1959, pubblicò le foto di questi perenni inseguimenti, e questa prova della collusione tra Polizia e Vaticano provocò una grave crisi nel Governo italiano. Ma anche il cardinale Tisserant dovette ammettere: «Peyrefitte colpisce forte. Vedrete che un giorno i suoi scritti faranno luce a quelli che vorranno comprendere la nostra epoca».

E, poi, il nostro Vincenzo Cardarelli che fu definito “il più grande poeta italiano morente”.

Maldicenza, dunque. Pensare male si fa peccato, ma – sosteneva Andreotti – qualche volta s’azzecca. Anche “dir male” è peccato. Ma, ”dire il male”, sostenne il cardinale Martini in una famosa omelia tenuta nel duomo di Milano in dicembre 1999, potrebbe farci cadere tra gli ignavi nel quinto girone dell’inferno.  La maldicenza, in ogni caso, è attorno a noi, dentro le patologie più gravi, aerando in maniera diversa, con tante sfumature di cattiveria. Il primo livello è rappresentato dal pettegolezzo, una forma codarda delle relazioni umane, sempre nascosta, mai ufficiale, una talpa che scava nei sentimenti degli altri. Un bisbiglio maligno che talvolta si muove tra rancori e risentimenti, covati a lungo e poi scoccati nella scintilla che, il più delle volte, è casuale.

I luoghi di lavoro sono terreni fertili per la maldicenza che sconfina nel fenomeno del nostro tempo, il cosiddetto mobbing. Il grimaldello più subdolo della malignità è il «si dice», buttato nella conversazione con nonchalance, distrattamente per affinare meglio il cinismo. Insomma, il campionario è vasto allo stesso modo di come è ricca e perversa l’umanità. Sembra la filiera del fiele: dall’invidia alla calunnia attraverso la pratica del lamento.

 

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