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Provare rancore nei confronti di qualcuno è qualcosa che, più o meno intensamente, è toccato a chiunque. Il termine deriva dal latino rancere, essere rancido o irrancidito; e in effetti il rancore è un sentimento di odio che può avere differenti livelli di profondità, spesso non manifestato apertamente, ma tenuto nascosto e quasi covato nell’animo.
È quello che Madre Teresa di Calcutta ha spesso definito il sentimento più brutto. Forse proprio a causa della non capacità di portare a galla e risolvere un problema nei confronti di qualche altra persona.
Ma è anche volgare il rancore, secondo Oriana Fallaci che così ne ha scritto nel suo “Gli antipatici” del 1963. Il rancore è stato spesso oggetto di interesse da parte di scrittori e studiosi di moltissime discipline differenti: lo scrittore e sceneggiatore canadese Mordecai Richler, per esempio, spesso viene ricordato per una frase, “C’è chi colleziona francobolli, o scatole di fiammiferi. Tu collezioni rancori” che fotografa alla perfezione il suo pensiero rispetto a questo sentimento. Ma è soprattutto Elias Canetti, saggista bulgaro naturalizzato britannico, premio Nobel per la letteratura nel 1981, ad aver dedicato alcuni passaggi molto interessanti sul rancore.
Nel suo “La provincia dell’uomo” del 1973, ci ricorda che “la cosa più stupida sono le rimostranze: c’è sempre qualcuno verso il quale nutrire rancore. Capita sempre che l’uno o l’altro ci abbia offeso. Capita sempre che l’uno o l’altro ci abbia fatto un torto. Cosa gli è saltato in mente, che vuol dire questo e stavolta non la passerà liscia. Questa piccineria sciocca continua a frullarci in testa; piccineria, perché riguarda soltanto noi stessi, e anzi solo una minima parte della nostra persona, i suoi confini sempre artificiosi.
Di tali rimostranze la vita si riempie come se fossero prove di saggezza. Invadono tutto come cimici, si moltiplicano più in fretta dei pidocchi. Si va a dormire con loro, ci si sveglia con loro; la vita di relazione degli uomini non consiste d’altro”. Dopo un altro passaggio in un testo del 1994, La rapidità dello spirito, Canetti torna sul tema anche un paio d’anni dopo: in “Un regno di matite” afferma testualmente che “il rancore è meschino, non bisognerebbe coltivarlo e lasciarlo suppurare, bisognerebbe sbarazzarsene”.
D’altro canto, già moltissimi anni prima Arthur Schnitzler, nel suo “Il libro dei motti e delle riflessioni” del 1927, ci ricordava che “non esiste rancore più implacabile di quello che portiamo verso chi, pur non volendolo, ci ha posto nella condizione di manifestare i lati negativi del nostro carattere proprio nel rapporto con lui, oppure ci ha dato per primo motivo di scoprirli”. Il rancore, insomma, finisce con l’incidere e corrodere relazioni sociali, ma soprattutto mette di fronte chi prova questa tipologia di sentimento a sé stesso, alle debolezze e alle fragilità che albergano in ciascuno di noi.
È importante sottolineare che le cause del rancore possono variare a seconda del contesto culturale, storico e sociale. Inoltre, le emozioni come il rancore spesso si sviluppano da una combinazione complessa di fattori individuali, sociali e ambientali. Gli studi in questo senso sono molteplici, e mettono in luce una serie di cause che possono veicolare sentimenti di rancore. Molte analisi convergono sul convincimento che una delle cause principali siano le ingiustizie percepite: Il rancore può scaturire da un senso di ingiustizia, sia reale che percepita.
Quando le persone si sentono trattate in modo inequabile o ricevono un trattamento ingiusto, possono sviluppare rancore verso coloro che percepiscono come responsabili delle ingiustizie. Così come le situazioni di competizione e rivalità possono generare rancore, specialmente quando il fallimento o la sconfitta sono percepiti come risultato di azioni ostili o scorrette. Anche le tensioni e i conflitti che non vengono risolti adeguatamente possono lasciare sentimenti di rancore sia a livello interpersonale che intergruppo.
Sempre per rimanere nell’ambito individuale, le persone che subiscono discriminazioni o pregiudizi possono sviluppare rancore nei confronti di coloro che li trattano in modo discriminatorio o pregiudizievole, così come le esperienze di trauma, sia individuali che collettive, possono scatenare il rancore verso coloro che sono stati coinvolti nella causa del trauma. A livello collettivo, la percezione di corruzione o inefficienza nelle istituzioni sociali o governative può alimentare il rancore nei confronti delle istituzioni stesse o di coloro che ne fanno parte; in alcuni casi, le informazioni e la retorica negative diffuse dai media possono influenzare il rancore e i sentimenti di ostilità tra gruppi. E naturalmente, I cambiamenti sociali rapidi possono portare al rancore nei confronti di gruppi che sono percepiti come responsabili di tali cambiamenti o che beneficiari di tali cambiamenti a scapito di altri.
La produzione scientifica e saggistica sul tema del rancore sociale è davvero vasta. Perché Il rancore può portare alla polarizzazione tra gruppi o comunità. Quando le persone nutrono forti sentimenti di rancore nei confronti di un altro gruppo, possono diventare più inclini a identificarsi in modo rigido con il proprio gruppo e a considerare il gruppo avversario come l'”altro”, accentuando le differenze e rafforzando le barriere sociali.
Ancora, il rancore può alimentare il conflitto intergruppo o interetnico, poiché le emozioni negative possono portare a comportamenti ostili o persino violenti verso il gruppo percepito come responsabile dell’ingiustizia o della ferita; in questo senso il rancore può contribuire alla discriminazione e al pregiudizio tra gruppi. Le persone possono sviluppare pregiudizi negativi verso il gruppo avversario, basati sulla rabbia e sull’odio.
Ne è convinto per esempio il saggista indiano Pankaj Mishra, che nel suo “The Age of Anger: A History of the Present” indaga la rabbia e il rancore nelle società contemporanee e offre una prospettiva storica sulle radici di queste emozioni. E se molti studi analizzano in particolare la situazione negli Usa (spaziando dal rancore politico nelle comunità rurali del Wisconsin a quello che affrontano gli studenti LGBT nelle scuole statunitensi, per giungere anche al rancore e alla rabbia tra gli uomini bianchi americani e al suo impatto sulla politica e sulla cultura), altri esaminano invece come l’invidia e il rancore siano collegati allo status sociale e come queste emozioni possano influenzare le interazioni e le relazioni umane.
Il rancore collettivo può avere insomma ripercussione negative importanti: può rendere più difficile la risoluzione pacifica dei conflitti, poiché le emozioni negative possono bloccare la comunicazione e la comprensione reciproca. Ma può anche alimentare la riduzione della fiducia sociale: Il rancore può erodere la fiducia tra gruppi o all’interno della società. Quando le persone si sentono ferite o ingiustamente trattate, possono diventare più scettiche e meno disposte a fidarsi di altri, e se il rancore diventa generalizzato o pervasivo all’interno di una società, può portare a tensioni costanti e instabilità sociale.
Da non dimenticare anche gli effetti a medio-lunga scadenza: il rancore può portare alla perdita di opportunità di collaborazione e sviluppo reciproco tra gruppi, impedendo la crescita sociale ed economica. In questa prospettiva può quindi ostacolare il progresso sociale e la cooperazione tra gruppi, rendendo difficile l’adozione di politiche o decisioni che comportino un beneficio comune.
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