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Il ministro Giorgetti e la premier Meloni

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Il vero test dell’incontro governo-opposizioni è costruire le basi di un Paese che unito supera una congiuntura complicata. Ancora di più dopo il pasticcio sulle banche che scalfisce la credibilità internazionale della Meloni e dell’Italia per il coro populista che lo accompagna. Le opposizioni valorizzino che il governo condivide il problema da loro sollevato. La premier le convinca che cerca insieme una soluzione con un nuovo metodo. Solo così si vincono i poteri di veto delle corporazioni e la Meloni esce dall’incidente internazionale facendo pagare alle banche ciò che è giusto.

Non va sprecato il vero significato dell’incontro governo-opposizioni sul salario minimo. Che è quello di costruire le basi di un Paese che solo unito può vincere la sfida di una congiuntura complicata per ragioni geopolitiche, miccia inflazionistica sempre accesa, caro voli, caro mutui, crisi strutturali tedesca e cinese, e molto altro ancora. Che lo è ancora di più dopo la prima vera mossa falsa del governo Meloni: il pasticcio sulle banche con due versioni in meno di 24 ore sulla tassazione degli extraprofitti che ha costretto il ministro dell’Economia Giorgetti a parlare di stabilità finanziaria a rischio e a ridurre l’impatto del provvedimento a un tetto massimo pari allo 0,1% dell’attivo lordo rispetto a quello della prima bozza fissato al 25% del patrimonio netto.

Sono numeri che messi a confronto costituiscono pietre che scalfiscono la credibilità internazionale della stessa Meloni, così faticosamente costruita e riconosciuta in questi mesi grazie a una forte politica estera di impronta mediterranea, un ancoraggio stabile all’Europa con scelte condivise su Pnrr e Sud, e soprattutto una linea chiara di finanza pubblica e di rispetto delle regole di mercato. Questo patrimonio internazionale oggi è a rischio anche se è coperto sul piano interno da un dibattito mediatico narcotizzato mentre Moody’s si affretta a definire “credit negative” per il settore bancario italiano il provvedimento perché, ancorché ridotto, ha un impatto pesante sulla redditività e i mercati si aspettano un intervento chiarificatore della Meloni che liberi il governo dal ritorno molto pericoloso di ombre populiste sul suo operato.

Noi continuiamo a ritenere che tocchi alla Presidente del Consiglio chiudere l’incertezza generata da questo incidente che genera sfiducia. Che non vuol dire affatto non costringere le banche a restituire almeno in parte ai correntisti quanto indebitamente si sono presi elevando i tassi per il credito e lasciando a zero gli interessi sui depositi con oneri di tenuta dei conti sempre più pesanti.

L’intervento si può e si deve fare ma, come è successo in Spagna, concordandolo con le stesse banche. Che devono dimostrare responsabilità accettando paletti che il primo provvedimento non pone per cui quello che il governo dice populisticamente di ottenere in più per chi ha meno e per i contribuenti in genere, verrebbe poi pagato con gli interessi da altri contribuenti se non dagli stessi contribuenti grazie alla mano libera lasciata alle banche su commissioni bancarie, politica di impieghi che determina ulteriori restrizioni nel sostegno all’economia, difficoltà a catena di banche e della domanda interna accompagnate da minore fiducia internazionale sui nostri titoli sovrani.

Non va sprecato il vero significato dell’incontro governo- opposizioni sul salario minimo. Che è quello di costruire le basi di un Paese che solo unito può vincere la sfida di una congiuntura complicata per ragioni geopolitiche, miccia inflazionistica sempre accesa, caro voli, caro mutui, crisi strutturali tedesca e cinese, e molto altro ancora. Che lo è ancora di più dopo la prima vera mossa falsa del governo Meloni: il pasticcio sulle banche con due versioni in meno di 24 ore sulla tassazione degli extraprofitti che ha costretto il ministro dell’Economia Giorgetti a parlare di stabilità finanziaria a rischio e a ridurre l’impatto del provvedimento a un tetto massimo pari allo 0,1% dell’attivo lordo rispetto a quello della prima bozza fissato al 25% del patrimonio netto.

Sono numeri che messi a confronto costituiscono pietre che scalfiscono la credibilità internazionale della stessa Meloni, così faticosamente costruita e riconosciuta in questi mesi grazie a una forte politica estera di impronta mediterranea, un ancoraggio stabile all’Europa con scelte condivise su Pnrr e Sud, e soprattutto una linea chiara di finanza pubblica e di rispetto delle regole di mercato. Questo patrimonio internazionale oggi è a rischio anche se è coperto sul piano interno da un dibattito mediatico narcotizzato mentre Moody’s si affretta a definire “credit negative” per il settore bancario italiano il provvedimento perché, ancorché ridotto, ha un impatto pesante sulla redditività e i mercati si aspettano un intervento chiarificatore della Meloni che liberi il governo dal ritorno molto pericoloso di ombre populiste sul suo operato.

Noi continuiamo a ritenere che tocchi alla Presidente del Consiglio chiudere l’incertezza generata da questo incidente che genera sfiducia. Che non vuol dire affatto non costringere le banche a restituire almeno in parte ai correntisti quanto indebitamente si sono presi elevando i tassi per il credito e lasciando a zero gli interessi sui depositi con oneri di tenuta dei conti sempre più pesanti. L’intervento si può e si deve fare ma, come è successo in Spagna, concordandolo con le stesse banche. Che devono dimostrare responsabilità accettando paletti che il primo provvedimento non pone per cui quello che il governo dice populisticamente di ottenere in più per chi ha meno e per i contribuenti in genere, verrebbe poi pagato con gli interessi da altri contribuenti se non dagli stessi contribuenti grazie alla mano libera lasciata alle banche su commissioni bancarie, politica di impieghi che determina ulteriori restrizioni nel sostegno all’economia, difficoltà a catena di banche e della domanda interna accompagnate da minore fiducia internazionale sui nostri titoli sovrani


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