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Una giornata di ordinaria follia turistica a Venezia

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Il turismo di massa può essere la rovina dei territori italiani, alcuni particolarmente fragili. Ma non bisogna tralasciare il lato economico: le entrate turistiche, sono una parte fondamentale del nostro Pil nazionale

E qualcuno arriva al punto da augurarsi, sbagliando, che nella competizione tra Roma e Riad, per Expo 2030, prevalga quest’ultima. Le difficoltà di convivere con flussi turistici importanti per i residenti stanno diventando talmente rilevanti da augurarsi da parte di molti romani, invece che la vittoria, la sconfitta.

L’allarme dell’Unesco che vuole inserire Venezia tra le aree a rischio va nella stessa direzione. Già due anni fa l’Italia evitò l’inserimento nella danger list di Venezia grazie alla decisione di vietare le grandi navi nel canale San Marco e promettendo un piano di conservazione. Secondo l’Unesco, il provvedimento non basta e il programma di salvataggio non è stato attuato.
Tutto ciò sta dimostrando come vi sia un’esigenza forte di limitare alcune forme di fruizione del nostro patrimonio artistico, culturale e ambientalistico.

I nostri territori poi sono particolarmente fragili, probabilmente tale condizione fa parte della loro bellezza. Si pensi alle Cinque Terre, o alla Costiera Amalfitana per avere contezza di quanto il sistema di cui parliamo sia da salvaguardare con molta attenzione.

E quindi interventi importanti per limitare i danni di un uso molto disinvolto che il mondo sta facendo di quel patrimonio che c’è stato lasciato dai nostri avi e che abbiamo il dovere di riconsegnare, intatto se non arricchito, ai nostri eredi.
Il Mose di Venezia, che è costato alla fiscalità generale somme inimmaginabili, vicino agli 8 miliardi, dei quali pare uno per tangenti, che ha portato nelle patrie galere un Presidente della regione Veneto come Giancarlo Galan, per decine di milioni di tangenti, è un grande investimento che ha salvato Venezia da molte delle acque alte. E ha portato a una ventina di condanne. Costerà di gestione e di manutenzione cifre inimmaginabili, ma è un doveroso strumento per salvare un patrimonio unico al mondo, che tutti ci invidiano, ma che rischia di diventare, se non si interviene velocemente, un Luna Park facilmente replicabile in qualche Disneyland del mondo.

Anche se non tutti sono d’accordo nel limitare la fruizione; “Vogliamo perdere anche il turismo perché l’Unesco ci dice che è dannoso? Piuttosto, tiri fuori i soldi per fare le opere che servono invece di parlare a vanvera… più fatti e meno parole” dichiara Il filosofo arrabbiato Cacciari, già Sindaco della città lagunare.

D’altra parte il nostro Paese necessita delle risorse che affluiscono con le entrate turistiche, che sono una parte fondamentale del nostro Pil nazionale. Quindi bisogna non solo aumentare i visitatori per essere il primo Paese del mondo in termini turistici, cosa quasi dovuta al Bel Paese, ma che invece viene superato da concorrenti che non avrebbero né titolo né condizioni oggettive per poterlo fare, ma distribuirli meglio sul territorio. I nostri concorrenti spesso sono più capaci di vendere il loro prodotto, anche se con caratteristiche molto più deludenti.

Molti sostengono che modelli diversi non possano esserci. L’esempio della Spagna ci dice invece che è possibile, certamente con tante difficoltà, provare a far conoscere al mondo un patrimonio più ampio di quello che in Spagna si fermerebbe a Madrid e Barcellona. Non è casuale che tale Paese ha investito somme enormi per collegare le realtà più periferiche in modo veloce.

E la prima alta velocità ferroviaria della Spagna parte da Siviglia per arrivare a Madrid, contrariamente a quello che è accaduto da noi, che abbiamo privilegiato realtà più sviluppate e marginalizzato totalmente quelle più periferiche, con l’aggravante di aver totalmente trascurato città come Napoli e Palermo, scrigni di bellezza assolutamente sotto utilizzati da un punto di vista turistico fino a prima del Covid.

Collegamenti veloci per raggiungere le parti periferiche ma anche grandi eventi distribuiti nel Paese, cosa che non è accaduta assolutamente in Italia, che ha messo in mostra sempre le stesse città, con la prevalenza assoluta di Milano e Roma. Che si sono equidistribuiti i grandi appuntamenti internazionali, ma anche le sedi delle agenzie europee, perdendo una via importante per la crescita del capitale umano delle realtà periferiche.

Per fortuna che anche gli organismi internazionali sono diventati sempre meno provinciali e si sono accorti che i grandi eventi non servono per consolidare e far crescere realtà ormai conosciute ed affermate e che piuttosto bisogna premiare, come non è stato fatto quando la Turchia candidò Smirne e fu fatta vincere Milano, le realtà meno conosciute ma di grande valore artistico.

Se anche loro cominciassero a decidere invece che sulla base di meccanismi di cooptazione o, come sembra sia avvenuto per l’Expo di Dubai o per i mondiali di calcio in Quatar, sulla capacità economica da mettere in campo per convincere le commissioni assegnatrici, sul valore delle citta da promuovere, forse anche il nostro Paese la smetterebbe con le CUS, (Candidature Uniche Scontate).

Cinque paesi hanno presentato la loro candidatura per ospitare l’Expo 2027, che sono: Stati Uniti (in Minnesota), Thailandia (a Phuket), Serbia (a Belgrado), Spagna (a Malaga) e Argentina (a San Carlos de Bariloche).

Il processo si è concluso nel giugno 2023 quando tutti i paesi membri del BIE hanno votato per scegliere il Paese vincitore. L’Expo 2027 si svolgerà a Belgrado, e in tutte le quattro votazioni preliminari per l’assegnazione dell’Esposizione internazionale specializzata 2027, la Serbia ha sempre mantenuto il primo posto. Sembrerebbe in contro tendenza rispetto alle tesi sostenute, ma il fatto che tutte le altre candidature erano “minori” e la capitale scelta invece è una localizzazione che esce fuori da una guerra, dimostra che i parametri di riferimento sono cambiati.

L’intera dirigenza di Belgrado ha espresso grande soddisfazione e, immediatamente, è arrivato anche il commento del presidente Aleksandar Vucic che ha definito la notizia “fantastica” per tutto il Paese. Dobbiamo imparare da Paesi molto meno sviluppati del nostro a capire che i grandi eventi servono anche per delocalizzare e diminuire la pressione sulle mete preferite? Sembra proprio di si anche se sarà difficile convincere Milano che tutti i granfi eventi non debbano svolgersi lì e che continuerà a promettere, mentendo, che li farà a costo zero per la fiscalità generale.


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