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Serve un nucleo federatore europeo che prenda in mano la questione africana giocando la partita della partnership alla pari con lo spirito propulsivo delle grandi democrazie quando fanno sul serio. Ci vuole pazienza per costruire una grande rete europea che non significa rinunciare al ruolo dell’Italia, ma dare all’Italia un ruolo molto più importante che è quello di federatrice europea della partnership con l’Africa. Questo ruolo e i risultati che ne discenderebbero conterebbero per la Meloni di più del peso dell’alleanza tra conservatori e popolari in un’Europa immobile su un terreno di sabbie mobili dove tutto frana perché nessuno decide e l’unico destino europeo, senza una forte scelta federata mediterranea, è quello di rimanere inghiottiti.

SE VOGLIAMO una politica europea africana efficace, bisogna che spingano insieme Italia, Francia e Spagna con la Germania che aiuta. Tutto il resto sono chiacchiere o, se volete, rumore. Che ovviamente si accentua con il golpe in Niger come ogni volta che accade qualcosa che sancisce in modo sempre più vistoso agli occhi di tutti il dominio russo-cinese sul Continente del futuro fatto di armi e soldi. Più aumenta la consapevolezza sulla ricchezza di materie prime energetiche e di terre rare e sulla dimensione della risorsa umana, in bilico tra bomba sociale e grande opportunità globali, che riguarda il Sud del mondo, più esplodono tardive e scomposte attenzioni occidentali.

Questo giornale ha posto in tempi non sospetti la questione africana come centrale in un mondo che si è capovolto a causa dei carri armati di Putin in Ucraina che hanno spezzato per sempre i fili dell’asse Est-Ovest e hanno rilanciato come strategico il nuovo asse Sud-Nord. Abbiamo detto con chiarezza, e ci piace ripeterlo, che ragioni geografiche e storiche legate alla pandemia globale e alla guerra nel cuore dell’Europa hanno posto condizioni strutturali perché il Sud italiano diventi il Nord europeo facendo del nostro Mezzogiorno il grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo e la locomotiva dell’unica crescita aggiuntiva europea ancora possibile. Nella consapevolezza che il mondo si è capovolto occorre, però, che un dato strategico prevalga su tutto. Riguarda l’esigenza non più eludibile di costruire una rete europea, non italiana, sull’Africa. Noi possiamo guadagnarci sul campo, come in parte abbiamo già fatto, il merito di essere stati i primi a capire questo problema – il Piano Mattei e le conseguenti scelte operate con il Repower Eu all’interno del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) lo testimoniano fisicamente – e possiamo rivendicare anche quello, non da poco, di avere insistito su questo punto strategico. Operando da soli, però, il nostro lucido protagonismo addirittura ci indebolisce perché aumenta il problema grosso che abbiamo di una Francia molto indispettita di non essere più il centro del mondo africano.

Non possiamo ovviamente dire “abbiamo scherzato, siamo i vostri vassalli”, anche perché non esiste al mondo una simile posizione. Non avrebbe senso uscire da un ruolo che ci siamo costruiti con intelligenza e pragmatismo. Quello che, invece, abbiamo il dovere di fare è connotare questo ruolo sempre più come federatore di una rete europea che può fare arrivare a capire alla Francia, non a noi, che serve una rete federativa europea per costruire quel rapporto alla pari con l’Africa che può fare la differenza nei dialoghi con il continente del futuro rispetto all’autocrazia russo-cinese oggi dominante e alle passate stagioni di imperialismi francese e inglese. Affinché l’Europa vinca questa battaglia, che è un pezzo strategico del quadrante del futuro, diventa decisivo anche il ruolo della Spagna molto proiettata sul Mediterraneo e occorre che dietro la spinta unitaria di Italia, Francia e Spagna non manchi mai il sostegno convinto della Germania e dei suoi alleati nordici. Se il premier dimissionario olandese, Mark Rutte, ha voluto partecipare a ben due iniziative della Meloni sulla sponda Sud del Mediterraneo, oltre a Ursula von der Leyen, vuol dire che anche gli olandesi, eredi di una ex potenza coloniale, vogliono essere della partita e parliamo di un Paese finanziario che ha grandi capitali da mettere in gioco e anche di un Paese marittimo con grandi porti attraverso i quali passa tanta roba del commercio mondiale. Siamo davanti alla grande partita globale dove alle grandi rotte del commercio con l’America si aggiungono quelle del commercio con l’Africa.

Ci vuole, dunque, pazienza per costruire una grande rete europea che non significa rinunciare al ruolo dell’Italia, ma dare all’Italia un ruolo molto più importante che è quello di federatrice europea della partnership con l’Africa. Questo ruolo e i risultati che ne discenderebbero conterebbero per la Meloni al fine di consolidare la sua posizione nel salotto che conta dell’Europa molto di più di quanto potrebbe discenderne dalla alleanza tra conservatori e popolari che sembra al momento non avere le prospettive di cui si è a lungo favoleggiato almeno nelle dimensioni accreditate. Non sembrano esserci, peraltro, i numeri sufficienti per gli spostamenti di consenso in un’Europa dove tutto sembra immobile come dentro una palude. Che vuol dire tornare su un terreno di sabbie mobili dove tutto frana perché nessuno decide e l’unico destino europeo, senza una forte scelta federata mediterranea, sembra essere quello di rimanere inghiottiti. Sfruttando l’antipatia contro i francesi, russi e cinesi avranno gioco facile a prendersi anche il Ciad con il popolo africano che si schiera con loro. Prima che la situazione precipiti, serve un nucleo federatore europeo che prenda in mano la questione africana giocando la partita della partnership alla pari con uno spirito nuovo e la spinta propulsiva delle grandi democrazie quando decidono di fare sul serio.


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