L'ospedale San Giovanni di Dio a Crotone
3 minuti per la letturaCROTONE – Sono 14 i medici e gli infermieri iscritti nel registro degli indagati per la morte di quell’anima innocente. Il pm Pasquale Festa ha fatto notificare gli avvisi di accertamento tecnico non ripetibile, che equivalgono ad informazioni di garanzia, a medici e infermieri del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale San Giovanni di Dio e a un pediatra. L’ipotesi di reato è quella di omicidio colposo.
Sotto la lente della Procura è finito quel parto indotto, purtroppo non andato a buon fine (LEGGI); una scelta fatta dai sanitari nonostante la madre del bimbo, Rosa Milano, 31enne, insistesse per un taglio cesareo essendo ampiamente passate le 41 settimane di gravidanza e avvertendo lei forti dolori. L’autopsia è fissata per oggi pomeriggio e dovrà far luce sulle cause della tragedia.
A chiedere giustizia è Tiziano Scalise, 34enne di Petilia Policastro, che non ha potuto abbracciare, insieme alla compagna, il loro terzo figlio, nato morto perché, secondo quanto da lui denunciato ai carabinieri, i sanitari insistevano nell’estrarre “a forza” il corpicino, pur essendo superati i termini di sviluppo del piccolo, al quale proprio ieri hanno dato un nome, formalizzando anagraficamente un dramma di proporzioni enormi. Si sarebbe dovuto chiamare Romano, il bimbo. Un adempimento a cui hanno dovuto ottemperare tra le lacrime i genitori Silvano e Rosa, lui bracciante agricolo, lei casalinga.
Hanno già avuto due figlie, e la nuova gravidanza sembrava procedere senza complicanze. Il giorno del ricovero, registrato alle 8 del 24 luglio scorso, i sanitari hanno tentato, attraverso specifiche terapie, di indurre il parto innescando contrazioni artificiali nella donna, attendendo una dilatazione più ampia. «Non vi era alcun tipo di preoccupazione da parte dei medici, i quali mi dicevano di stare tranquillo e che in breve tempo la mia compagna avrebbe partorito», ha raccontato Scalise ai militari della Stazione Principale di Crotone, che stanno facendo accertamenti. Ma i primi sospetti si sono subito appuntati. «Ricordo che mia moglie li supplicava chiedendo di effettuare un parto cesareo in quanto i dolori patiti erano troppo forti e stava troppo male», è detto ancora nella denuncia.
Bimbo nato morto, la ricostruzione dei fatti
Tuttavia, i sanitari obiettavano che sarebbe stata soltanto l’ultima cosa da fare nel caso in cui i sistemi fino a quel momento adottati avrebbero fallito. Eppure le settimane di gravidanza erano “41+3”, osserva il denunciante. Erano passati, cioè, tre giorni dalla 41esima settimana di gravidanza, insomma, per questo i coniugi non riuscivano a capire cosa stesse succedendo. Il 26 luglio, alle 21, finalmente la donna entra in travaglio e viene immediatamente accompagnata in sala parto.
Il parto inizia alle 23. La partoriente, ancora vigile e cosciente, sentiva i medici dire che ancora lei non aveva raggiunto una dilatazione sufficiente per far nascere il bambino. Intanto, mentre la donna continuava a pregare i sanitari di eseguire un cesareo, le ore passavano. I medici tentavano di estrarre il bimbo con manipolazioni e con l’utilizzo di strumenti vari. Alle 2.05 del 27 luglio si sente un urlo della partoriente dovuto, secondo quanto denunciato, all’uscita forzata della testa del bambino. L’uomo sente che i medici vanno nel panico.
“Chiamate Galea”. Il cognome del primario, Domenico Galea, che ora si ritrova indagato. La donna viene trasferita d’urgenza in sala operatoria proprio mentre il marito è nel corridoio di passaggio e nota la sua compagna su una barella e con la testolina del piccolo fra le gambe. Una scena a cui hanno assistito in molti, a quanto pare, in un’area d’attesa. Fino alle 4.45 la donna resta in anestesia. L’intervento termina alle 5, quando all’uomo viene comunicato il decesso del piccolo. Le dicono che la moglie riposa in stanza. Nessun’altra comunicazione da parte dei medici, nessuna spiegazione.
I genitori si sono rivolti agli avvocati Ivan Ierardi e Tiziano Saporito; vogliono vederci chiaro e per questo un consulente di parte, Matteo Sacco, assisterà all’autopsia. Il padre del piccolo nel suo esposto fornisce una chiave di lettura precisa. Secondo indagini difensive svolte dai legali, sembra che fosse passata un’ora da quando il bimbo aveva tirato la testa fuori dal grembo ma i sanitari non riuscivano ad estrarlo. Dovranno essere gli inquirenti a fare luce.
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