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Il rapporto Ires Cgil 2023 sulle disuguaglianze di genere traccia l’identikit del disoccupato in Basilicata: donna, giovane e istruita

Presentato ieri mattina al Park Hotel di Potenza il primo rapporto Ires Cgil sulle disuguaglianze di genere in Basilicata. Sono intervenuti Riccardo Achilli, direttore scientifico Ires Cgil; Anna Russelli, segretaria della Cgil Basilicata e Laura Ghiglione, segretaria nazionale. Per l’occasione è stato anche istituito il Coordinamento regionale delle donne Cgil di Basilicata.
La condizione femminile nella regione – secondo quanto riportato dal rapporto Ires – può riassumersi ritraendo nella figura “tipica” del disoccupato lucano una giovane donna, con titolo di studio medio-alto, alla ricerca del primo impego e che, in poco tempo, si scoraggia cadendo nella inattività o emigrando.

Questa la situazione di “resistenza culturale” adottata dalle donne lucane. Un dato che ribalta il confronto della regione con il resto dell’Italia. Nonostante le evidenti e risapute difficoltà rispetto al Centro Nord, a differenza delle altre regioni meridionali, la Basilicata non è affatto in ritardo con la formazione delle donne lucane. Di fatto, i dati regionali sulle laureate nazionali sono persino migliori della media italiana.

Il sistema educativo e formativo della regione Basilicata riporta l’evidente e marcato vantaggio che le donne lucane, soprattutto giovani, hanno sui maschi. Una sorta di eccezione positiva nel panorama del Sud ed anche una eccellenza in quello italiano. Il tasso di abbandono scolastico regionale delle studentesse è inferiore alla media del Sud e dell’Italia ed è nettamente meno grave rispetto al dato dei maschi.

Disuguaglianze di genere: in Basilicata donne laureate al di sopra della media

Le giovani lucane di età compresa fra i 30 ed i 34 anni – riporta l’Ires – che possiedono un titolo di studio terziario (laurea o post-laurea), sono il 35,6%, ben al di sopra del dato del Mezzogiorno e dell’Italia. Anche la partecipazione alla formazione professionale permanente da parte della popolazione in età lavorativa e post-educativa (25-64 anni) mostra un netto vantaggio delle donne, sia rispetto ai maschi della stessa regione, sia in confronto con le media meridionale e nazionale. Risulta quindi evidente che per le donne lucane, l’educazione e la formazione sono un potente strumento di integrazione e di contrasto alla discriminazione.

Questo, grazie anche a due fattori: un efficiente – seppur relativo – funzionamento dei Programmi operativi regionali (POR) del Fondo sociale europeo inerente alle capacità di attivazione dei corsi e una diffusa emancipazione culturale e formativa femminile, per molti aspetti paragonabile a quella di regioni considerate più “avanzate”.

Tale potenza culturale – sottolinea il rapporto Ires – si perde nel momento in cui, finita la fase di apprendimento, le donne lucane si avventurano nel mercato del lavoro. Non riescono a trasformare tale forza in eguaglianza reddituale e sociale. In particolare, da questo snodo, si generano le disuguaglianze. Quasi una donna su cinque è inattiva. Altissime sono le percentuali di scoraggiamento per le difficoltà riscontrate nell’accesso all’occupazione: il tasso di attività delle donne lucane è di 12 punti inferiore a quello medio nazionale – si legge nel report – con un gap negativo rispetto al tasso di attività maschile di ben 26 punti.

Le donne inattive lucane hanno titolo di studio elevato

Le donne lucane inattive – quelle che manifestano una totale mancanza di partecipazione al mercato del lavoro non soltanto non lavora, ma nemmeno ricercando attivamente una occupazione – è pari al 55,8%. Tra queste una percentuale, pari alla quinta più alta fra tutte le regioni italiane, è rappresentata dalle donne inattive lucane che hanno un titolo di studio elevato. Dato che conferma lo “spreco” delle qualificazioni e degli studi che subiscono le donne lucane. Un ampio bacino femminile che, invece di entrare nel mercato del lavoro, finisce nel limbo della disoccupazione.

Ad acuire poi la condizione economica e reddituale delle donne, vi è anche la carenza di politiche ed azioni atte a migliorare le condizioni di welfare familiare. Il tema dei servizi della conciliazione, ad esempio, è un dato che restituisce la fotografia di una regione in cui meno di un comune su tre, è dotato di servizi per la presa in carico degli infanti: accede solo il 7% dei bambini. Sono disponibili solo 14 posti in servizi socioeducativi ogni 100 fanciulli. È chiaro, quindi, che questa grave carenza di servizi incrementa la povertà femminile, perché induce le donne a non lavorare, o ad accettare occupazioni stagionali o part time sotto pagate, per non venire meno alla cura dei figli.

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I retaggi culturali

Inoltre – come riportato dall’Ires – spesso una donna si raffronta con retaggi culturali, che sopravvivono nei contesti di piccole imprese familiari e padronali a discendenza maschile e nei sistemi di governance aziendale, e con politiche del lavoro non particolarmente efficaci. L’inserimento delle donne negli ambiti lavorativi rivela anche un “tasso di sfruttamento” più alto rispetto ai lavoratori. Le assunzioni con contratti precari, infatti, sono di gran lunga più frequenti per le donne che per gli uomini. Solo l’11,8% – dato del report Ires – delle assunzioni femminili in Basilicata avviene con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 15,9% maschile.

Disuguaglianza di genere, anche in Basilicata le donne sono più a rischio povertà

Non solo contratti precari, mediamente meno retribuiti ma anche settorializzazione degli impieghi: servizi alla persona a basso valore aggiunto, turismo e ristorazione, agricoltura. Questo gap occupazionale fa sì che gli stipendi medi delle donne lucane, che riescono a superare il grande ostacolo dell’accesso al lavoro, siano di 4.300-4.400 euro annui lordi inferiori agli stipendi medi dei maschi. Analoga differenza si riscontra anche nel valore medio delle pensioni. Ragion per cui, escluso il caso di tante donne a basso reddito sostenute, anzi mantenute economicamente dai mariti, il rischio di caduta in povertà assoluta è a carico delle donne.

La percentuale di lucane in condizioni di grave deprivazione materiale – si legge nel report – è del 10,3%. Tale valore nasconde situazioni di solitudine, dove non vi è sostegno familiare: anziane vedove del marito, donne single con figli a carico. In misura crescente donne immigrate.

Infine, il rapporto suggerisce un approfondimento specifico riguardante il tema della violenza sulle donne, partendo dalla premessa che, soprattutto in contesti culturali ristretti, i casi di denuncia o di ammissione di aver subito violenza, sono minori. Le statistiche, quindi, ne risultano sottostimate rispetto all’entità reale del fenomeno.

L’ultima indagine su base regionale condotta dall’Istat sul tema, risalente all’ormai lontano 2014, colloca la Basilicata nella migliore posizione fra tutte le regioni italiane, con 23,7% di donne di età compresa fra 16 ed i 70 anni che ammette di aver subito una violenza nella propria vita. Dati confermati dalla indagine sui reati-spia denunciati nel 2021 che restituiscono livelli di allarme sociale non significativamente maggiori rispetto alle altre regioni limitrofe.

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