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Abbiamo raccontato la fotografia di un Paese serio che fa profitti, paga le tasse, crea occupazione ignorato da tutti. Purtroppo in questo miracolo italiano c’è anche la fotografia di un Paese che fa profitti in nero su cui non paga nulla e che specula sull’inflazione. Intervenga l’amministrazione finanziaria perché i profitti benedetti e dichiarati sono tassati, anzi tartassati, proprio a causa di chi evade o specula. Con il boom del turismo senza liberalizzare i servizi si sottrae prodotto interno lordo agli operatori economici che per miopia si oppongono a arricchire i loro portafogli e al Paese intero che perde ricchezza e occupazione

Abbiamo raccontato il miracolo economico italiano come nessun altro mossi esclusivamente dalla forte volontà di documentare la realtà. Perché oltre dodici punti di Pil di crescita in tre anni, ma forse si spera di superare abbondantemente i 13 punti, non è impresa da poco. Raggiungere i livelli di disoccupazione della stagione aurea prima di dovere fare i conti con gli effetti delle grandi crisi a partire dal 2009 non è impresa da poco. Viaggiare a un ritmo di 100 miliardi, al netto dell’energia, di surplus commerciale su base annua verso i Paesi extra europei compensando la caduta della domanda interna tedesca non è impresa da poco.

Avere conquistato il podio della crescita europea dopo un quarto di secolo di stagnazione come fanalino di coda storico in Europa non è impresa da poco. Avere un indice di fiducia di consumatori e imprese alle stelle a giugno di quest’anno mentre tutte le grandi economie europee sono malinconicamente ripiegate all’indietro è impresa non da poco. Registrare 12 milioni di pernottamenti stranieri in più in quattro mesi rompendo tutte le statistiche storiche e alimentando una crescita conseguente dei servizi a livelli record con punti di rottura della capacità di rispondere alla domanda sono segnali inequivoci che il Paese continua incredibilmente a vivere il suo secondo grande miracolo economico in un mondo percorso dai venti della recessione e dagli effetti della deglobalizzazione.

Avere in tutti gli indicatori macroeconomici, a partire dall’occupazione, performance in termini relativi nettamente superiori del Sud rispetto al Nord significa che qualcosa di veramente strutturale sta accadendo. Che riguarda l’industria come il turismo, le costruzioni come l’innovazione. Anche perché il mondo si è capovolto e, come non ci stancheremo mai di ripetere, il nuovo Nord dell’Europa è il Sud dell’Italia dal quale dipende l’indipendenza energetica del Paese e gran parte del futuro produttivo manifatturiero italiano e tedesco. Senza il nuovo grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo.

Quella che abbiamo raccontato fin qui è la fotografia di un Paese serio che fa profitti, paga le tasse, crea occupazione. Un Paese che è diventato in questi ultimi anni un modello di riferimento in Europa e fuori. Purtroppo in questo miracolo italiano c’è anche la fotografia di un Paese che evade, di una parte che sta facendo profitti in nero pazzeschi su cui non paga nulla. Questo non è più tollerabile perché i profitti benedetti e dichiarati sono tassati, anzi tartassati, proprio a causa di chi evade. Siamo passati dall’assistenzialismo di stato, regionale comunale e così via al soccorso di chi evade per cui una piccola quota di italiani con redditi modesti e via via crescenti continua a pagare la gran parte di tutta l’Irpef. Pazzesco.

Custodiamo il demerito del più alto tasso di evasione fiscale dell’Unione europea (11,5% del Pil) davanti a Grecia e Romania e non possiamo più girarci dall’altra parte. A questo punto, infine, proprio il boom senza precedenti del turismo trainato da una fortissima domanda internazionale e da una forte domanda interna impone come non più eludibile la questione della liberalizzazione a trecentosessanta gradi delle licenze dei tassisti, delle concessioni dei balneari e di tutti i servizi ancora poco aperti alla concorrenza. Stiamo parlando di tutto prodotto interno lordo sottratto agli operatori economici che per miopia culturale si oppongono a arricchire i loro portafogli e al Paese intero che perde ricchezza e occupazione. Anche questo non ce lo possiamo più permettere.

Perché l’economia è fatta di manutenzione e anche i miracoli per essere stabilmente preservati vanno manutenuti sia facendo pagare le tasse a chi continua a fare in nero profitti stellari e specula vigliaccamente sull’inflazione, sia allineando in modo competitivo l’offerta alla domanda di servizi in termini quantitativi e qualitativi. Una Destra moderna che vuole esprimere un progetto Paese di conservatorismo compiuto non può non farsi carico di sciogliere i nodi che bloccano la ulteriore crescita possibile e la conseguente lotta alle diseguaglianze dichiarando contestualmente guerra alla più odiosa delle tasse che è l’inflazione soprattutto perché ingiusta. Questa battaglia si fa dicendo alla Bce quello che va detto soprattutto quando si gioca con le parole. Si fa, però, anche colpendo una massa di furbetti che alimentano l’inflazione da profitti nascosti e/o sussidiati con i poteri di cui l’amministrazione finanziaria dispone. Ci sono ragioni di equità e di sviluppo che vengono prima di tutto.


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