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Aumentano i tassi di interesse e scendono le richieste di prestiti e mutui e l’analisi dei dati evidenzia che al Sud costano più che al nord fino ad un punto percentuale in più

Prestiti, indietro tutta. Il rialzo da record dei tassi di interesse delle Banche centrali sta inducendo le famiglie e le imprese a contenere la domanda di finanziamenti come non accadeva dagli anni precedenti alla crisi da Covid-19.
I dati della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve statunitense mostrano un rallentamento notevole. Dimostrando l’efficacia – almeno temporanea – della stretta monetaria contro l’inflazione in arretramento dai massimi registrati nel 2022 sia in Europa, sia negli Stati Uniti.

EUROZONA: MUTUI GIÙ DEL 98%

Nell’Eurozona le condizioni di credito si sono irrigidite ha rilevato la Bce nel suo ultimo sondaggio trimestrale in materia. Il flusso netto di nuovi mutui ha subito un tracollo del 98% rispetto al 2022, per ritrovare una partenza d’anno così debole bisogna risalire al 2014. Nel nostro Paese la situazione rischia di farsi critica. La stretta creditizia può far deragliare l’economia con un effetto domino sulle imprese e sull’occupazione.

AL SUD I PRESTITI DI DENARO COSTANO PIÙ CHE AL NORD

Il calo dei prestiti e l’aumento dei tassi di interesse sui finanziamenti sono stati per altro confermati dall’Associazione Bancaria Italiana nell’ultimo Rapporto sul credito. Secondo l’organizzazione guidata da Antonio Patuelli, a maggio i prestiti a imprese e famiglie sono scesi dell’1,1% rispetto a un anno prima (crescevano del 3,2% a giugno 2022), mentre ad aprile 2023 avevano registrato un calo dello 0,3%, quando i prestiti alle imprese erano diminuiti dell’1,9% e quelli alle famiglie erano cresciuti dell’1,4%.

PRESTITI, AL SUD ONERI FINANZIARI FINO AD UN TERZO MAGGIORI RISPETTO AL NORD

Quanto ai tassi di interesse, registrano dinamiche differenti ma sono tutti in aumento. A maggio il tasso medio sulle nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni è stato il 4,24% (2,05% a giugno 2022, con un incremento di 219 punti base), quello sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è stato del 4,90% (1,44% a giugno 2022, con un incremento di 346 punti base). Infine, il tasso medio sul totale dei prestiti è stato del 4,12% (2,21% a giugno 2022, con un incremento di 191 punti base). Per imprese e famiglie si torna dunque su livelli che non si registravano più da oltre 10 anni. Il credito non è uniforme. A soffrire di più per quella che potrebbe essere una nuova stretta creditizia operata dalle banche è il Mezzogiorno dove famiglie e imprese devono accollarsi oneri finanziari fino ad un terzo superiori rispetto a quelli medi del resto del Paese.

PRESTITI AL SUD, TASSI INCREMENTALI DALLO 0,50% FINO ALL’1,25% PIÙ CHE AL NORD

In particolare, le banche che operano nelle regioni meridionali applicano tassi incrementali che oscillano dallo 0,50% all’1% e, in casi limite, fino all’1,25% in più rispetto a quelli richiesti per le operazioni di finanziamento nelle regioni centro-settentrionali. Il che significa per intenderci che alle nuove operazioni di finanziamento per l’acquisto di un immobile se perfezionate al Sud il tasso oscillerebbe tra il 4,74% e fino al 5,24%; mentre i nuovi finanziamenti alle imprese avverrebbero a tassi compresi tra il 5,40% e il 5,90% (fino ad un massimo del 6,15%). I tassi naturalmente non sono fissi ma cambiano a seconda di chi sia il cliente e del fido di cui gode. Prima di concedere un prestito, la banca (o la finanziaria) valuta la richiesta in base ad alcuni parametri come l’età del cliente, la sua posizione lavorativa e la sua affidabilità creditizia.

Non solo, il caro denaro, ma ora stanno venendo al pettine i nodi dei crediti garantiti dallo Stato durante la crisi pandemica. Venute meno le agevolazioni concesse dai Governi tra il 2020 ed il 2022 il rischio di default delle imprese meridionali più esposte e con oneri finanziari in aumento inevitabilmente si accresce.

IL DIFFERENZIALE TRA TASSI ATTIVI E PASSIVI AI MASSIMI DA 16 ANNI

Il differenziale tra i tassi attivi e passivi delle banche è tornato sui livelli di 16 anni fa ed è risalito a 325 punti base. Di poco inferiore al livello registrato prima dello scoppio negli Stati Uniti della Crisi finanziaria globale a fine 2007.
Il rapporto dell’Abi ha elaborato un nuovo indicatore (il margine sulle nuove operazioni) per dimostrare, in sostanza, che se si considerano solo le nuove operazioni di finanziamento e di raccolta, che tengono quindi conto, sia da una parte, sia dall’altra, dell’impatto dei rialzi dei tassi da parte della Bce, il margine favorevole alle banche risulta di 155 punti e, quindi, non molto distante da quello di cui le associate beneficiavano nel giugno dello scorso anno (141 punti), quando l’inversione di rotta della politica monetaria non era stata ancora avviata dalla Bce. I tassi sulla raccolta mostrano, ad esempio per i nuovi depositi a durata prestabilita un aumento a maggio al 3,21% dallo 0,29% di giugno 2022.

Le indicazioni contenute nel Rapporto sembrano fornire una risposta indiretta alle recenti sollecitazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha invitato le banche a riconoscere una maggiore remunerazione alla liquidità fornita dalla clientela, ma anche a collaborare con le famiglie contro il caro – mutui , evitando che la stretta creditizia possa danneggiare l’economia.

CREDITO GIÙ ANCHE NEGLI USA

Anche negli Stati Uniti il trend non cambia. Secondo il corrispondente survey della Federal Reserve Bank, le banche che hanno ricevuto una domanda crescente di prestiti si sono più che dimezzate nel primo trimestre dell’anno (-40%), come accaduto anche per i mutui volti all’acquisto immobiliare (-38%). Per il credito al consumo, molto diffuso tra gli americani, il calo è più contenuto ma parliamo pur sempre di un 14,5%.

Secondo le aspettative delle stesse banche precedenti allo scoppio della bolla, i primi tre mesi del 2023 avrebbero dovuto rappresentare un allentamento della stretta creditizia: al contrario, i rifiuti delle richieste di prestiti a piccole e grandi imprese da parte delle banche europee sono rimasti agli stessi livelli dell’ultima parte del 2022.

CALA IL MERCATO DELLE COMPRAVENDITE IMMOBILIARI

Alla fine del 2023 è previsto un calo del mercato delle compravendite immobiliari del 10,7%, rispetto al 2022. Nel frattempo, il primo bimestre dell’anno accusa un calo del 2,7%. Secondo il Consiglio nazionale dei notai, questo calo riflette l’aumento dei tassi di interesse applicati dalle banche sui mutui di nuova erogazione. Nel primo bimestre la percentuale di diminuzione è stata, infatti, del 23,56%, al confronto con lo stesso periodo del 2022.

A gennaio, spiegano i professionisti, “la diminuzione dei prestiti bancari è stata pari al 15,8% per accentuarsi a febbraio, con un decremento del 29,3%. Ricordando l’andamento del mercato delle compravendite che ha segnato, comunque, una diminuzione del solo 2,72% nel bimestre (+5,43% di gennaio e – 8,68% a febbraio) – viene segnalato – è impressionante come il numero di mutui concessi, e in percentuale il capitale erogato, sia in forte flessione, quasi ad evidenziare il fatto che le persone stiano acquistando case più coi propri capitali rispetto al passato, a causa del forte aumento dei tassi di interesse”.

FMI: CORREZIONI AL RIBASSO

Nelle sue ultime prospettive economiche regionali per l’Europa, il Fondo Monetario Internazionale ha affermato che una correzione al ribasso è già in corso in alcuni mercati immobiliari europei, ma questo declino potrebbe accelerare man mano che le banche centrali aumentano ulteriormente i tassi di interesse: la Fed è giunta al 5-5,25% nel corso degli ultimi 15 mesi, e la BCE al 3,5%.

“Il calo dei prezzi delle case potrebbe accelerare se i mercati riprezzassero i rischi di inflazione e le condizioni finanziarie si restringessero più del previsto. Questi cali dei prezzi avrebbero effetti negativi sui bilanci delle famiglie e delle banche”, ha aggiunto il FMI. “I modelli empirici che collegano i prezzi delle case ai loro driver fondamentali indicano una sopravvalutazione del 15-20% nella maggior parte dei paesi europei. Pertanto, con i tassi ipotecari ancora in aumento e i redditi reali intaccati dall’inflazione, i prezzi delle case sono recentemente diminuiti in molti mercati”, afferma il Fondo.


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