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Prigozhin, quartier generale a Rostov preso senza sparare

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Ogni volta che la Russia perde la guerra o non la vince si spacca al suo interno. Si sfascia perché viene tenuta insieme dall’orgoglio nazionale messo in crisi dalle sconfitte in Ucraina. La differenza rispetto al passato è che accade in un Paese pieno di testate nucleari. Una Russia destabilizzata non aiuta e non è chiaro se Putin cadrà o no e se a lui possa subentrare una Russia ancora più nazionalista. Di sicuro deve fare patti con chi gli è rimasto intorno. Successe con Gorbaciov ma per Putin è più complicato perché è un dittatore e ovviamente i dittatori non vanno in pensione. C’è una prima possibilità di sbocco della stessa guerra in Ucraina perché il rischio di guerra civile impone a chi vuole sopravvivere di riunire i cocci e di non permettersi più una guerra imperialista.

NON sappiamo ancora se è una vera e propria guerra civile o una resa dei conti all’interno della nomenklatura. Quello che è sotto gli occhi di tutti è che sta crollando lo Stato russo visto che l’aviazione della Russia è costretta a bombardare una città della Russia per fermare i carri armati della brigata Wagner. Visto che gli uomini di Prigozhin hanno preso Rostov, grande città del Sud, dove c’è il quartiere generale dell’esercito russo per gestire la guerra in Ucraina, e marciano in 25 mila su Mosca dalla quale li separano 500 chilometri. Il profilo dell’azione è quello del colpo di stato militare e la conferma viene dal fatto che a Mosca stanno facendo le barricate. Anche se il colpo di stato militare dei mercenari della Wagner per essere portato a compimento ha ovviamente bisogno di defezioni importanti dalla nomenklatura putiniana. Che evidentemente non ci sono state se Prigozhin è arrivato ad annunciare una retromarcia dentro la nebbia di un racconto di cui nessuno è in grado di avere riscontri certi.

È un fatto, però, che per la prima volta nella storia dell’uomo, siamo di fronte al rischio di una guerra civile in una nazione come la Russia che ha seimila testate nucleari. La chiave di lettura dei fatti di oggi è quella di sempre. Ogni volta che la Russia perde la guerra o non la vince si spacca al suo interno come è già accaduto con la rivoluzione russa. Come accadde anche nella prima sconfitta nella guerra Russia-Giappone dell’inizio del Novecento quando si ebbe la prima “pseudo rivoluzione democratica” del sistema zarista. Max Weber si mise a studiare il russo e chiamò a raccolta un suo studente russo perché cominciò a pensare in modo anticipatore che lì stava cambiando il mondo. Di questo interesse e di questo lavoro ne rimangono traccia anche in un suo saggio.

Come finirà la guerra civile ora in atto non lo sa bene nessuno. Siamo, però, nel quadro storico che conosciamo già che riguarda la Russia. Quando perde si sfascia perché viene tenuta insieme dall’orgoglio nazionale, quindi è evidente che quello che sta accadendo certifica che la Russia in Ucraina o non vince o sta perdendo la guerra. La vera grande differenza rispetto al passato è che tutto ciò oggi sta accadendo in un Paese pieno zeppo di testate nucleari. L’umiliazione russa porta alla rivoluzione. Porta alle tensioni sociali. Porta alla destrutturazione del Paese stesso che può finire con una nuova vittoria di Putin o con la sua estromissione. Anche questo non lo sa nessuno. Come nessuno sa, e da queste colonne lo ripetiamo da tempo, in che condizioni sta per davvero la sua economia. Chi scrive non ha mai creduto ai dati ufficiali forniti da Putin che descrivono comunque già un Paese in grande difficoltà, ma ha sempre ritenuto che la sua economia sia stata piegata in modo strutturale dalla perdita della guerra energetica con la scomparsa del suo unico grande cliente che è l’Europa. Una Russia destabilizzata non giova a nessuno, così come non è nemmeno chiaro fino in fondo se la caduta di Putin può favorire la pace o, peggio, una Russia ancora più nazionalista. Una cosa, però, appare certa. Ora Putin deve almeno fare dei compromessi. Non può più fare l’autocrate, deve tornare alle alleanze e alle coalizioni anche dentro ciò che gli è rimasto intorno.

Se la brigata Wagner ha cominciato la marcia su Mosca lo ha fatto perché aveva l’illusione o la certezza di poterlo fare. Se è tornata indietro è perché ha avuto assicurazioni e contropartite. C’è il precedente della mezza guerra civile contro Gorbaciov che portò chi lo voleva buttare giù quasi fino al punto di arrestarlo, ma in quel caso – si fa per dire – a salvarlo fu Yeltsin. Che disse: non buttiamo giù il sistema, ma impadroniamocene. Ora, però, Putin, a differenza di Gorbaciov, non può più fare lui l’accordo con il nuovo ipotetico Yeltsin, che non è certo il capo della brigata Wagner che assomiglia ai vecchi che volevano buttare giù Gorbaciov, perché non è più nelle condizioni di dire: salvo la pelle e accetto di finire nel pensionamento. Per lui è tutto infinitamente più complicato che per Gorbaciov perché Putin è ormai a tutti gli effetti un dittatore che si è macchiato di crimini di guerra e così è vissuto dall’intero mondo occidentale. Ovviamente i dittatori non vanno in pensione.

Siamo comunque di fronte, con molta cautela, alla prima possibilità di sbocco della stessa guerra in Ucraina perché questo terribile braccio di ferro e il rischio di guerra civile impongono a chi vuole sopravvivere di rimettere finalmente insieme i cocci interni e di non potersi più permettere una guerra imperialista.


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