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Il testimone di giustizia Michele Tramontana denunciò i suoi presunti aguzzini, il processo “lumaca” ormai alle fasi conclusive
VIBO VALENTIA – Quella cadenza particolare, miscuglio tra italiano e spagnolo, quegli occhi in cui si intravede ancora la speranza di ottenere giustizia. Una speranza che non ha mai perso nonostante negli anni sia stata messa a dura prova. Rinvii anche di mesi, cambi di giudici, udienze rinviate per assenza testimoni, ma non solo. Intimidazioni, minacce, proiettili davanti casa, atti processuali distrutti. Insomma di tutto e di più. Ma la voglia di andare fino in fondo si è dimostrata più forte e adesso agli sgoccioli di un processo che dura da oltre una decade. Michele Tramontana non si arrende.
Non l’ha mai fatto e non lo farà a maggior ragione ora che siamo all’ultimo atto del processo di primo grado che lo vede parte offesa di una presunta attività usuraria ed estorsiva. Attività, secondo l’assunto accusatorio, messa in atto da quattro persone. Per tre di esse la pubblica accusa ha chiesto la condanna, per la restante, invece, la prescrizione. Ed è proprio la prescrizione del reato che l’imprenditore, testimone di giustizia, teme perché scatterebbe nel momento in cui l’aggravante mafiosa dovesse cadere.
IL TESTIMONE DI GIUSTIZIA E LA LUNGA ATTESA DI UN PROCESSO LUMACA
La sentenza di primo grado è attesa per fine luglio, a 12 anni dalla prima udienza e a 16 dai fatti contestati. Una eternità. questa mattina, una delle udienze finali, alla quale Tramontana non ha voluto mancare. Con lui, i suoi “angeli custodi”: non solo gli uomini della scorta per la sua protezione ma anche i rappresentanti di libera per il supporto morale: Giuseppe Borrello, referente regionale di Libera e don Peppino Fiorillo.
Prima di entrare in aula, l’imprenditore di Rombiolo che ha trascorso buona parte della sua vita in Argentina, si sofferma con alcuni giornalisti. Racconta le sue vicissitudini e le sue speranze, quei momenti bui dai quali, tuttavia, è sempre riuscito a venirne fuori, anche se ne porta, nell’animo, le ferite.
Ho ancora fiducia nella giustizia e sono sicuro che si avrà un verdetto giusto perché dopo 16 anni lo merito. Nel corso degli anni ho affrontato numerose difficoltà, soprattutto quando, nel 2018, mi hanno revocato il servizio di protezione, poiché secondo l’allora viceministro all’Interno, Vito Crimi, erano terminati i miei impegni processuali. Vivere sotto scorta non è facile perché molte cose non le puoi fare ma rifarei ancora quelle denunce”.
Una decisione fortunatamente revocata, soprattutto grazie all’impegno dei legali del testimone di giustizia, Giovanna Fronte e Scognamiglio. Ma quella non fu l’unica peripezia affrontata in quel periodo da Tramontana cui era stato addirittura notificato lo sfratto della casa. Anche in questa occasione, il buon senso prevalse. Il padre dell’imprenditore non è riuscito a vedere la fine del processo: “Se n’è andato proprio in quei mesi in cui mi comunicarono lo sfratto. Il suo cuore non ha retto. Sono cose che non posso dimenticare e che mi viene difficile perdonare”.
Accanto a Tramontana, si diceva, le persone più fidate: familiari e qualche amico ma la politica e le altre istituzioni lo hanno abbandonato: “Tranne i miei avvocati, gli uomini della scorta, Libera, la Cna e qualche amico, il resto della cosiddetta società civile sono scomparse. Hanno abbandonato al proprio destino un uomo che aveva denunciato, che aveva fatto ciò che lo Stato indica di fare quando si trova nel gioco della criminalità. Ecco perché qualche anno fa mi ero sfogato”.
Sono le 10.15. L’udienza del processo sta per iniziare. Tramontana si congeda dai cronisti con quel suo accento argentino e, scortato dagli agenti del servizio protezione, raggiunge quell’aula che lo ha visto presenziare innumerevoli volte. E aspetta quell’epilogo, ormai prossimo, che ha tanto agognato.
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