Alfonso Mannolo
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Cutro, in primo grado il boss Alfonso Mannolo dell’omonimo clan parlò della guardiania (leggi racket) abusiva che era un «male necessario», in Appello chieste 20 condanne
CUTRO – «La guardianìa è come il matrimonio, un male necessario». Con le sue dichiarazioni spontanee Alfonso Mannolo, presunto vertice dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta stanziata a San Leonardo di Cutro, ha fatto un autogol.
Perché «ammetteva l’inevitabilità della guardiania abusiva ai villaggi turistici». Anche per questo motivo il sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro Pasquale Mandolfino ha chiesto la conferma di 17 condanne e la lieve riduzione di altre 3 inflitte, un anno fa, dal Tribunale penale di Crotone, per 163 anni di reclusione complessivi, nel processo scaturito dall’inchiesta che portò alle operazioni Malapianta e Infectio, con cui la Dda del capoluogo calabrese ritiene di aver inferto un duro colpo al clan Mannolo e alle sue proiezioni in Umbria.
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CLAN MANNOLO, GLI OBIETTIVI PROCESSUALI DELL’ACCUSA PER LA SENTENZA DI APPELLO
Il pg, applicato anche in Appello al procedimento, chiede che venga acclarata l’operatività della cosca Mannolo, che avrebbe imposto il racket ai villaggi turistici della costa jonica; ma anche che siano riconosciute le articolazioni in Umbria in sinergia col clan Commisso di Siderno. La pena più elevatafu quella di 30 anni comminata al vecchio boss, che, collegato in videoconferenza, si era autodifeso brandendo un Crocifisso e sostenendo che lui non aveva mai tradito Cristo.
In primo grado il collegio presieduto da Massimo Forciniti condannò, inoltre, gli imputati a risarcire (la liquidazione sarà stabilita in sede civile) la Regione Calabria assistita dall’Avvocatura regionale, il Comune di Cutro, assistito dall’avvocato Salvatore Rossi, il Comune di Perugia, Banca Unicredit, l’imprenditore Stefano De Gaspari, il gruppo Maresca, Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e l’imprenditore proprietario del villaggio stesso, vessato per anni dalla cosca Mannolo, il testimone di giustizia lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti. L’inchiesta accorpa le risultanze di due maxi operazioni.
L’OPERAZIONE MALAPIANTE CONTRO IL CLAN MANNOLO
L’operazione Malapianta, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, che nel maggio 2019 portò a 35 fermi, mise fine al giogo mafioso imposto dalla cosca su un vasto territorio che da San Leonardo si estende alla fascia jonica catanzarese. Gli inquirenti ritengono di aver dimostrato come il clan, pur dipendente dalla cosca Grande Aracri di Cutro, avesse asservito i villaggi turistici del litorale – specie Porto Kaleo e Serené – e potesse vantare ramificazioni operative in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere. Senza dire del dominio incontrastato nel traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e dell’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia.
La mente imprenditoriale era ritenuto Dante Mannolo, figlio del presunto boss e oggi collaboratore di giustizia. L’operazione Infectio, condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, scattata, invece, nel dicembre 2019, avrebbe fatto luce su un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi clandestine, e un’associazione volta alla commissione reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi bancarie. Nel maggio scorso, la Corte d’Appello di Catanzaro dispose pene per 270 anni nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato.
CLAN MANNOLO, LE RICHIESTE DI CONDANNA IN APPELLO
Queste le richieste di condanna avanzate dall’accusa
- Alberto Benincasa (44 anni), di Perugia: 4 anni e 6 mesi;
- Giuseppe Benincasa (70), nato a Cerenzia e residente a Perugia: 17 anni e 2 mesi;
- Antonella Bevilacqua (39), di Crotone: 11 anni;
- Valentina Danieli (31), di Thiene: 2 anni e 6 mesi;
- Antonio De Franco (57), nato a Cirò Marina e domiciliato ad Assisi: 13 anni;
- Ciro Di Macco (67), di Fiuggi: 3 anni e 6 mesi;
- Francesco Falcone (66), di Cutro: 16 anni;
- Roberto Fusari (59), di Perugia: 3 anni e 9 mesi;
- Piero Giacchetta (61), di Corciano: 3 anni;
- Luigi Giappichini (51), di Perugia: 5 anni;
- Luca Trabucco Mancuso (34), di Perugia: 4 anni;
- Armando Manetta (34), di Crotone: 4 anni;
- Alfonso Mannolo (84), di Cutro: 30 anni;
- Remo Mannolo (51), di Cutro: 19 anni;
- Paolo Menicucci (70), di Corciano: 5 anni;
- Annunziato Profiti (56), di Vibo: 4 anni;
- Renzo Tiburzi (73), di Foligno: 3 anni.
Il pg chiede la riforma della condanna:
- Mario Cicerone a 4 anni (in primo grado ebbe 7 anni e 6 mesi);
- Pasquale Profiti (59), di Vibo: 7 anni (8 anni);
- Pietro Russo (41), di Cotronei: 2 anni e 4 mesi (3 anni).
Richieste di concordato saranno discusse nelle prossime udienze.
ADESSO LA PAROLA PASSA ALLA DIFESA
La parola alla difesa il 10 e 17 luglio prossimi: interverranno gli avvocati Nuccio Barbuto, Paolo Carnuccio, Pietro Pitari, Mario Prato, Giovambattista Scordamaglia, Aldo Truncè, Gregorio Viscomi.
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