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Cadono le accuse nel processo sull’ultima crisi dei rifiuti di Potenza e dintorni, i reati della cosiddetta Monnezzopoli non sussistono
POTENZA – Annullate, «perché il fatto non sussiste», le condanne inflitte a dicembre del 2018 nell’ambito del processo “monnezzopoli”, sulla vecchia gestione dei rifiuti indifferenziati del bacino del capoluogo.
Lo ha deciso, ieri, il collegio della Corte d’appello presieduto da Rosa D’Amelio e completato dai giudici Amerigo Palma e Vittorio Santoro, accogliendo il ricorso presentato dai 6 imputati accusati di traffico illecito di rifiuti. Vale a dire: Giovanni Agoglia, gestore della stazione di trasferenza di Tito Scalo, che è stato assistito dagli avvocati Leonardo Pace e Giampaolo Sechi; Giovanni Castellano, ex gestore della discarica di Salandra, assistito dall’avvocato Nicola Buccico; Cosimo Guida, gestore della discarica di Tricarico, assistito dagli avvocati Vincenzo Montagna e Domenico Ranù; il gestore della discarica di Lauria, Gaetano Papaleo, assistito da Bruno Larosa e Gennaro Lavitola; infine l’ex gestore della discarica di Pisticci Raffaele Rosa, più Ida Zecconi e Paolo D’Angelo, legale rappresentante e procuratore generale della B&B Eco, società facente capo ad Agoglia, tutti e tre difesi da Giovanni Losasso.
Le motivazioni della decisione verranno rese note nelle prossime settimane, ma durante le loro discussioni gli avvocati avevano insistito perché fosse considerata la situazione emergenziale venutasi a creare tra ottobre e novembre del 2010, che avrebbe suggerito di effettuare la sola triturazione dei rifiuti indifferenziati in entrata nella stazione di trasferenza di Tito Scalo, per ridurne il volume prima dell’invio nelle varie discariche individuate per lo smaltimento. Operazione che anche dalla Regione sarebbe stata ritenuta idonea in considerazione, appunto, dell’esplosione dell’ultima grossa crisi dei rifiuti nel capoluogo.
In primo grado il Tribunale di Potenza aveva inflitto 1 anno di reclusione a tutti e 6 i condannati, bocciando l’accusa, ancor più grave, sull’esistenza di un’associazione a delinquere tra gli imprenditori a vario titolo coinvolti, come pure di una maxi-truffa da oltre 4milioni e mezzo di euro ai danni dei 28 comuni interessati che avrebbero pagato per un servizio di smaltimento dei loro rifiuti a regola d’arte, anche se in realtà non lo era. Il grosso delle contestazioni ruotava attorno alla difformità tra le bolle di accompagnamento dei camion in ingresso e in uscita dalla stazione di trasferenza di Tito gestita dalla B&B Eco di Agoglia.
Osservando quelle bolle, infatti, i militari del Noe e del reparto operativo di Potenza si erano accorti che i codici dei rifiuti cambiavano: da indifferenziato con una probabile componente pericolosa, a rifiuto trattato con l’estrazione dei metalli e sostanze potenzialmente pericolose, come farmaci e batterie esauste. Solo che il vaglio meccanico necessario per quest’ultima operazione non esisteva. Sicché quanto raccolto dai cassonetti dei comuni del bacino “centro” di Potenza sarebbe stato semplicemente triturato e poi smaltito, senza uno dei trattamenti preventivi obbligatori previsti per legge.
Nel complesso si parlava di più di 16mila tonnellate di rifiuti “tal quale” o giù di lì smaltite in maniera illecita col rischio «probabile se non di certo realizzo» di un inquinamento del suolo e della falda circostante. A dicembre 2012 Agoglia, Castellano e Guida erano finiti in carcere sulla base delle accuse mosse nei loro confronti, e solo a distanza di qualche settimana si sarebbero visti concedere gli arresti domiciliari, revocati a marzo dell’anno successivo.
Durante l’udienza di ieri mattina il sostituto procuratore generale della Corte d’appello, Felicia Genovese, aveva chiesto la conferma delle condanne.
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