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Raffaele Fitto e Giorgia Meloni

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Sembra quasi che l’unico riferimento essenziale nel dibattito politico che sta caratterizzando il nostro Paese e, soprattutto, i primi sei mesi dell’attuale Governo, sia lo stato di avanzamento del PNNR, sia cioè solo una affannosa ricerca di strumenti e di procedure che siano in grado di evitare da un lato una figura di inadempienti nei confronti della Unione Europea su tutti i fronti per quanto concerne la concreta attuazione degli impegni relativi sia alla realizzazione delle opere, sia delle riforme e di attivazione misurabile della spesa, dall’altro la esigenza di comunicare, con la massima urgenza, come e quando effettuare un “tagliando” misurabile di ciò che tre anni fa (giugno 2020) definimmo Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).

Tutto questo è senza dubbio un preoccupante momento critico dell’attuale Governo, è un momento che vede il Ministro Raffaele Fitto impegnato in prima persona a fare tutto ciò che, sia sul fronte delle opere, sia sul fronte delle riforme, sia sul fronte della spesa non è stato fatto ed in questo difficile lavoro senza mai dichiarare: “Stiamo cercando di fare ciò che i nostri predecessori non hanno fatto”, ma ribadendo sempre “All’attuale Governo interessa onorare gli impegni senza motivare inadempienze del passato”.

Come ho detto, sin dall’insediamento dell’attuale Governo, è apprezzabile l’approccio responsabile dei vari membri della squadra della Premier Meloni ed al tempo stesso è apprezzabile la coscienza delle difficoltà e la urgenza di apportare, ove necessario, modifiche sostanziali a ciò che fino al mese di ottobre del 2022 (cioè fino all’insediamento dell’attuale Governo) molti avevano considerato un Piano valido e realizzabile.

Sappiamo benissimo che tutto ciò che abbiamo sin dall’inizio raccontato, sia sul modo assurdo con cui è stato affrontato il PNRR, cioè senza una unica governance e con una lista di proposte lontane da una visione organica, sia sulla incapacità delle stazioni appaltanti di attivare la spesa, purtroppo è vero ed è inutile tranquillizzare qualcuno sulla possibilità di salvare l’intero impianto programmatico, tuttavia con questa mia nota sollevo un argomento più grave e forse da affrontare in modo più immediato: ci sono scadenze più urgenti e più ricche di imprevedibili evoluzioni socio economiche; mi riferisco in particolare a quattro scadenze, a quattro atti strategici che il Governo dovrà affrontare nei prossimi mesi:

•             Il Disegno di Legge di assestamento del Bilancio che il Governo deve presentare entro il prossimo 30 giugno per variare gli stanziamenti di entrata e di spesa iscritti nel bilancio dello Stato, recependo altresì le variazioni già apportate agli stanziamenti stessi mediante atti amministrativi nella prima parte dell’anno. Sempre con tale provvedimento si definisce la effettiva consistenza dei residui attivi e passivi, accertata in sede di rendiconto relativo all’esercizio finanziario precedente, che viene presentato contestualmente

•             La Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza (NADEF) rappresenta l’aggiornamento del quadro macro economico, tendenziale e programmatico, comprensivo dei principali indicatori di finanza pubblica come il rapporto deficit/PIL

•             La Legge di Stabilità 2024 in cui dare concreta attuazione alle indicazioni proposte nella Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza ma, a differenza della Legge di Stabilità prodotta nel 2023, una Legge redatta in soli 40 giorni, indicare delle linee programmatiche e delle possibili coperture in grado di dare consistenza ad un atto programmatico che dovrà avere un respiro coerente con l’arco temporale della intera Legislatura.

•             Affrontare, in modo definitivo ed organico, due distinti impegni con la Unione Europea: uno relativo alla chiusura del Programma 2014 – 2020 ed uno relativo all’utilizzo delle risorse del Programma 2021 – 2027 la cui disponibilità finanziaria è di circa 74 miliardi di euro

In merito all’assestamento di bilancio sicuramente ci saranno le esigenze aggiuntive legate al disastro idrogeologico di una vasta area della Emilia Romagna ma oltre a questa grave emergenza non possiamo sottovalutare che il passato Governo Draghi aveva bloccato ogni ipotesi di “scostamento” utilizzando la leva del deficit, cioè ampliando l’indebitamento allontanandosi dagli obiettivi di rientro di medio termine fissati dal vecchio Patto di Stabilità.

Anche l’attuale Governo nell’approvare la Legge di Stabilità 2023 condivise un simile comportamento; oggi però, affrontando la Legge di assestamento di bilancio, non sarà facile evitare una simile ipotesi.

In merito al NADEF, come ho avuto modo di ricordare già in passato, il Governo nella redazione del Documento Economico e Finanziario, anche per motivi di mancata disponibilità di un arco temporale adeguato, non ha potuto proporre e prospettare un quadro programmatico di ampio respiro in grado cioè di cadenzare, negli anni della intera Legislatura, il susseguirsi di scelte e di interventi coerenti con riferimenti finanziari, con modalità di coperture che danno al Governo stesso quel livello di credibilità che può emergere solo da un DEF diverso da quelli che abbiamo avuto modo di leggere dal 2015 ad oggi, cioè da quasi un decennio.

In merito alla Legge di Stabilità 2024 non posso non ricordare che sicuramente emergeranno diversi problemi legati da un lato alla riattivazione del Patto di Stabilità della Unione Europea, dall’altro alla difficile crescita del nostro debito pubblico. Cioè una duplice negatività che non rende facile la stesura di un Disegno di Legge che potrà contenere pochissime iniziative mirate ad una misurabile crescita e forse sarà necessario ricorrere a sostanziali ridimensionamenti nella spesa in conto esercizio e cercare, invece, di riaccendere davvero la spesa in conto capitale. Scelta questa non facile perché poco popolare e che i passati Governi hanno preferito non utilizzare perché il ricorso al conto esercizio come l’aumento dei “salari minimi”, come il “reddito di cittadinanza”, come il “quota 100”, produce un immediato consenso elettorale.

In merito ai Fondi di Sviluppo e Coesione penso sia arrivato il momento di rivisitare integralmente le modalità di approccio; dovremmo prendere spunto dalla assurda esperienza vissuta per il Programma 2014 – 2020: dopo quasi dieci anni ci troviamo oggi a dovere entro il 31 dicembre 2023, cioè entro questo anno, perdere un volano di risorse pari a circa 28 miliardi di euro (ricordo che il Programma iniziale prevedeva una disponibilità di 54 miliardi di euro). Questo triste risultato dovrebbe imporci una rivisitazione urgente sia delle scelte delle opere del Programma FSC 2021 – 2027, sia della articolazione dei soggetti preposti alla gestione dei Programmi Operativi Regionali (POR) e dei Programmi Operativi Nazionali (PON). In realtà, come anticipato in una mia nota di pochi giorni fa, diventa importante chiarire, con la massima urgenza, con le Regioni il ruolo e la funzione del Titolo V° della Costituzione; in realtà non è consentito a nessuno, né all’organo centrale, né all’organo locale, ritardare il processo di spesa, ritardare l’attuazione di atti programmatici condivisi, addirittura, a scala comunitaria.

Esaminando questi quattro punti penso emerga che, in fondo, il PNRR è solo una delle emergenze e forse non quella più grave. 


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Stefano Mandarano

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