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Il motore della fiducia di famiglie e imprese resiste ai colpi di fucile dei centri studi datoriali, soprattutto dei commercianti, dell’Upb che imprigiona  la crescita reale nei documenti di finanza pubblica, e dell’irresponsabilità di una parte della maggioranza parlamentare che costringe il governo a fare rivotare in 24 ore due volte il Def indossando un abito da pagliacci che è lo stesso da quasi tre anni dei soliti gufi italiani. Anche nel primo trimestre del 2023 quello previsto della recessione si ferma la Germania, cresce poco la Francia, e l’Italia fa un balzo tendenziale dell’1,8% sul 2022 dopo un biennio di super crescita (11%) da locomotiva europea. Siamo sopra del 2,4% rispetto al quarto trimestre del 2019, quello prima del Covid, mentre Germania, Inghilterra, Spagna sono sotto. Siccome siamo appesi a un filo per caro tassi e nuovo patto europeo, chi attenta al bene comune della fiducia, si fermi all’istante e chieda scusa.

L’economia italiana vola come questo giornale ripete in assoluta solitudine da quasi tre anni. La fiducia è il motore di tutto e resiste nelle imprese e nelle famiglie ai colpi di fucile che sparano su di loro a ogni pié sospinto i centri studi delle proprie associazioni, soprattutto quelle dei commercianti, l’ufficio parlamentare del bilancio (Upb) che imprigiona  la crescita reale nei documenti di finanza pubblica del Paese, e l’irresponsabilità di una parte del Parlamento che costringe la maggioranza a fare rivotare in ventiquattro ore due volte il documento di economia e finanza (Def) indossando un abito da pagliacci pericolosi. Che è lo stesso che indossano impuniti ormai da quasi tre anni gufi e gufetti della Repubblica italiana. Anche nel primo trimestre del 2023 che doveva essere quello della recessione si ferma la Germania, cresce leggermente la Francia, e l’Italia fa un balzo dell’1,8% sul 2022 dopo un biennio di super crescita dell’11% da locomotiva europea.

Nel primo trimestre di quest’anno la crescita congiunturale è dello 0,5% sul trimestre precedente e dell’1,8% sul 2022 e, cioè, anno su anno. Continuiamo ad avere ritmi da locomotiva d’Europa dopo un biennio di crescita dell’11% che ha collocato l’Italia nettamente al primo posto tra le grandi econome europee e, nell’ultimo anno, davanti a Cina e Stati Uniti. Dal resto d’Europa arrivano indicazioni diverse: si ferma la Germania, cresce leggermente la Francia e accelera la Spagna nel senso che ci raggiunge nel ritmo di crescita. Attenzione, però: noi siamo sopra del 2,4% rispetto al quarto trimestre del 2019 e, cioè quello prima del Covid, mentre Germania, Inghilterra, la stessa Spagna che ora va bene, sono tutte sotto.

I fatti, non le chiacchiere, ci dicono che l’Italia continua guidare la ripresa europea dopo due anni ininterrotti di super crescita contrapponendo un congiunturale +0,5% a una media del +0,1% congiunturale dell’eurozona è un + 1,8% tendenziale a un +1,3% su base annua della stessa eurozona. Anche all’interno dell’Unione Europea la crescita congiunturale media è dello 0,3% e, quindi, l’Italia continua a marciare a un ritmo nettamente superiore. Industria e servizi non hanno mai fermato la loro crescita in Italia sia per la componente nazionale che per quella estera. Il ritmo ormai strutturale di sostenuta espansione dell’economia italiana prospetta un tasso di crescita già acquisito per il 2023 dello 0,8%. Badate bene parliamo di tasso di crescita già acquisto che è quello che si verificherebbe con una crescita nulla in tutti i tre trimestri successivi.  Siccome il desiderio di Italia del mondo non si è interrotto, le esportazioni corrono in Europa e, soprattutto, nei Paesi extra Ue, l’agro-industria colleziona record di mese in mese, piccole e grandi città sono in sold out fino a Natale sin da adesso, si capisce da soli che mettere come voleva il Mef almeno +1,5% di crescita annua del Pil italiano nel documento di economia e finanza (Def) significava esprimere semplicemente con molta cautela un quadro assolutamente realistico che dimostra la resilienza e il cambio di testa e di organizzazione della nostra economia. Qualcosa di davvero molto importante che riguarda finalmente una parte sempre più estesa del Mezzogiorno a partire dai primati assoluti di Napoli e Bari.

D’altro canto gli indici di fiducia del commercio e delle imprese italiani fino ad aprile sono nettamente migliori di quelli delle altre economie. Assistiamo all’assurdo che i commercianti hanno la fiducia alle stelle e il presidente della loro associazione dice in pubblico che languono. Fabrizio Galimberti, da par suo, ha spiegato che anche nel quarto trimestre dell’anno scorso di lievissima frenata i consumi italiani continuavano a crescere di quasi il 4% sull’anno scorso e per capirlo oltre che fare un giro tra la gente bastava epurare il dato Istat da quello cumulato delle scorte. Lavoro troppo difficile da fare evidentemente per il direttore del centro studi di Confcommercio di cui il presidente dovrebbe con urgenza chiedere le dimissioni a meno che non voglia ritirarsi lui direttamente dalla scena.

Se vi fate guidare da chi ne capisce, come Fabrizio Galimberti, scoprirete che  il “superindice” della Commissione Ue, che ha valenza anticipatoria e riguarda cinque indicatori (industria, servizi, famiglie, commercio al dettaglio e costruzioni) non dà segni di miglioramento per l’intera eurozona, ma non per l’Italia. Che segnala invece un continuo miglioramento anche per il trimestre in corso legittimando solide aspettative, confermate anche da tutti gli elementi empirici.

Siamo abbastanza studi del solito stupore dei giornaloni cassandra, di autorità fintamente indipendenti, di centri studi datoriali e del mondo del commercio impegnati in un’intensa attività lobbistica. Questi comportamenti messi tutti  insieme rappresentano un attentato al bene comune perché incidono sulla fiducia interna e sulla credibilità internazionale dell’Italia. Se il fenomeno si ripete con le stesse facce di tollo di mese in mese da tre anni di seguito o si cambiano le facce o si procede nelle sedi competenti per valutare i danni arrecati a tutela del patrimonio nazionale che riguarda le famiglie, le imprese e, soprattutto, il futuro dei nostri giovani.

I nuvoloni del mondo legati al caro tassi e alla geopolitica sono reali. I nuvoloni legati all’attuazione del nuovo patto di stabilità e crescita europeo che ci azzera i margini di spazi fiscali sono reali. Se, però, continuiamo a calcolarli in anticipo nel solo cielo del mondo dove non cadono, che è quello italiano grazie alla forza della sua economia, vuol dire che vogliamo che si spezzi il filo al quale è legato il miracolo economico italiano. È davvero troppo per consentire a sciacalli pubblici e profittatori privati di sussidi e rendite da inflazione di continuare ad agire indisturbati.


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