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Il ministro Fitto

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Ci aspettavamo dal Documento di economia e finanza molto di più, in fondo era la vera prima uscita pubblica di un governo con una maggioranza forte e di un governo che, in soli sessanta giorni, era riuscito a redigere un disegno di legge di Stabilità corretto e coerente anche agli indirizzi della Unione europea. Ripeto ci aspettavamo un quadro programmatico per la intera legislatura, eravamo convinti di leggere un respiro strategico di medio periodo e, soprattutto, una conferma della certezza della stabilità per la intera Legislatura. Invece il Def ci racconta che:

•            L’aumento della spesa è causato dall’inflazione prevista ancora al 5,7% per questo anno.

•            La spesa per le pensioni aumenterà del 7,1% sempre nel 2023 e nel 2024 e nel 2026 la sua incidenza sul Pil sarà del 16,1%.

•            La spesa per interessi sul debito a causa del rialzo dei tassi salirà dagli 85,1 miliardi nel 2023 agli oltre 100 miliardi nel 2026.

•            La spesa per la sanità dopo il Covid diminuirà rispetto al Pil dal 6,7 % del 2023 al 6,3% del 2024 e al 6,2% nel 2025 e 2026.

•            Per rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici serviranno 7-8 miliardi di euro e che allo stato però non ci sono.

Ma altro elemento che caratterizza il Def è che al suo interno mancano le spese previste anno per anno del Pnrr. Si legge nel Documento questi valori saranno resi noti solo successivamente agli esiti delle interlocuzioni in corso con le istituzioni europee per la revisione e la rimodulazione di alcuni degli interventi previsti dal Pnrr e delle relative milestone e target. E sempre del Def leggiamo un dato fornito questa volta in modo ufficiale e quindi non, come anticipato da me in modo sistematico, ma da una voce ufficiale come quella del ministero della Economia e delle Finanze e cioè: “Nel 2022 gli investimenti finanziati con le risorse del Pnrr sono stati pari a circa lo 0,2% del Pil” (lo riscrivo perché potrebbe essere sfuggito: lo zero virgola due per cento).

Questo significa che il Pnrr ha coperto solo 4 miliardi di investimenti pubblici. Molti organi di stampa hanno cercato di confrontare questo valore con quanto speso lo scorso anno per questa voce dalla Pubblica Amministrazione e hanno scoperto che il dato era identico a quanto riportato da me alla fine dello scorso anno cioè appena l’8%. E crea un po’ di sconcerto un passaggio previsionale del Def che ribadisce: “il Pnrr contribuisce in maniera decisiva al sostegno della spesa per investimenti fissi della Pubblica Amministrazione soprattutto dal 2024 in poi fino al picco dell’1,8% del Pil atteso nel 2025, in quell’anno i fondi della Unione Europea dovrebbero alimentare investimenti pubblici per circa 39 miliardi arrivando a coprire la metà degli investimenti fissi lordi della Pubblica Amministrazione nel frattempo saliti a 80,8 miliardi (+ 57% rispetto al 2022)”. Cioè la parte del Pnrr in cui si tenta di dare vita ad una previsione non di lungo, non di medio ma di breve periodo ci racconta qualcosa che difficilmente saremo in grado di raggiungere.

Quindi, dobbiamo dare atto al governo che, di fronte al quadro di incertezze e di fronte alla presa d’atto del fallimento del Pnrr sia per quanto concerne le scelte progettuali inserite al suo interno, sia sulla capacità della spesa, ha preferito misurare attentamente e concretamente lo stato attuale e cercare di superare questa emergenza dando vita a quanto indicato sin dall’inizio dalla Unione Europea in merito al processo realizzativo dell’intero Pnrr e cioè la organicità delle scelte e la unicità della governance.

Praticamente dopo tre anni di stasi, questo governo, attraverso il ministro Raffaele Fitto, sta cercando di attuarlo. E forse l’unico passaggio che denuncia un naturale ricorso all’ottimismo è quello legato alla possibilità di raggiungere nel 2025 una spesa pari a 39 miliardi quando nel 2022 si è riusciti a spenderne solo 4 miliardi. Fin qui quindi un momento solo legato alla presa d’atto di una situazione non facile ed alla ricerca di evitare un pericoloso paradosso: mai tante risorse disponibili, mai tanta incapacità nella loro utilizzazione. Per questo ho detto “aspettando la Nota di Aggiornamento al Documento di economia e finanza” perché spero che nel prossimo mese di settembre saremo in grado di:

•            Abbandonare la vecchia ed assurda narrazione dei governi della passata legislatura in cui venivano annunciati dati e riforme e al tempo stesso assicurato il rispetto del cronoprogramma definito con la Unione Europea.

•            Evitare o contenere al massimo la perdita delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020, una perdita che allo stato supera i 30 miliardi di euro.

•            Ridefinire in modo corretto il Programma supportato dal Fondo di Sviluppo e Coesione 2021–2027 rendendolo interagente con lo stesso Pnrr e in tal modo sfruttare la scadenza temporale di tale programma che si attesta al 2029.

•            Seguire in modo organico le procedure di affidamento delle opere ed i genere della spesa in modo da ottimizzare al massimo le varie fasi temporali legate alle procedure di gara e di reale avanzamento dei lavori.

In realtà se si riuscisse a salire in questo nuovo impianto procedurale allora questo governo potrebbe, in occasione della Nota di Aggiornamento del Def, raccontarci qualcosa che anticipi gli elementi più strategici e significativi che, necessariamente, dovranno caratterizzare la intera legislatura con un respiro almeno legato al 2030. Potrebbero, solo a titolo di esempio, trovare giusta ubicazione nella Nota di Aggiornamento del Def le seguenti finalità:

1.           Affidare in concessione, attraverso una gara internazionale, la messa in sicurezza del territorio nazionale garantendo una simile operazione con una quota percentuale fissa annuale del Pil (una percentuale pari al 3–4% definita con apposita legge). Una operazione che si trasformerebbe in un vero modello manutentivo del territorio.

2.           Affidare in concessione, attraverso gara internazionale, il complesso progetto dell’approvvigionamento idrico, della ottimizzazione delle risorse e della creazione di invasi nell’intero territorio nazionale.

3.           Affidare all’Enel ed all’Eni la identificazione e la gestione di un Piano per la gestione e la ottimizzazione delle reti di ingresso e di uscita degli approvvigionamenti energetici.

4.           Trasformare le attuali Autorità di Sistema Portuale in Società per Azioni assegnando una quota pari al 50% dei proventi dell’Iva generati dalle movimentazioni nei vari hub alle nuove Società e autorizzando apposite forme di Partenariato pubblico privato.

5.           Costruire un Piano organico dei servizi con particolare attenzione a due servizi: quello dei trasporti urbani e quello legato alla offerta sanitaria.

6.           Reinventare integralmente, alla luce della esplosione della digitalizzazione, la gestione degli interporti istituendo vere filiere logistiche interagenti.

7.           Rileggere l’assetto delle grandi realtà urbane ipotizzando una revisione sostanziale delle forme di pianificazione e, almeno per le grandi realtà metropolitane, riscrivere integralmente una nuova Legge 1150/42 (la vecchia Legge urbanistica).

Potrei continuare ad ipotizzare proposte che, sono sicuro, il governo cercherà di approfondire e se riterrà opportuno in parte inserire nella Nota di Aggiornamento del Def; sì in quello strumento che necessariamente dovrà contenere l’impianto strategico della attuale legislatura.


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