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Ieri sera ho visto un film: The Road, con Viggo Mortensen e il piccolo Kodi Smit-McPhee. Un adattamento cinematografico del romanzo, La strada, col quale nel 2007 Cormac McCarthy ha vinto il Pulitzer. La storia narrata è semplicissima e avvilente: un padre protettivo e figlio dolcissimo in viaggio verso sud alla ricerca di cibo e speranza di sopravvivere in uno scenario post apocalittico. Al mondo, o quel che ne resta, sono rimasti vivi solo in pochi, molti dei quali si danno al cannibalismo per resistere su un pianeta plumbeo e ormai infertile.
Il film mi ha commosso e depresso: per la delicatezza del rapporto tra padre e figlio e per la sorte insensate che gli tocca; ma anche per il destino del mondo che è dato vivere a quel ragazzino.
Da Verne in poi, anche gli scrittori più fantasiosi, a volte, hanno finito per azzeccarci con le previsioni sul futuro. Le statistiche sulla fertilità umana, specie nei Paesi occidentali, e sullo sfruttamento delle risorse naturali, anche nei Paesi più poveri, mi fanno pensare che il declino sia già in atto.
È dunque questo il mondo che stiamo costruendo? È per fare della Terra un campo dopo la battaglia che ogni mattina ci alziamo e ci diamo da fare?
Se è così, mi dico, io mollo tutto.
Ma poi mi chiedo: come si fa per mollare? Me ne resterò sul lato a nord-est della casa, sul lato dell’orto, per intenderci. E non risalirò più la stradina sterrata che dal retro porta alla civiltà (se civiltà si può chiamare questo buco di mondo in cui vivo).
Ma poi, mi domando ancora, sarò autosufficiente? Avrà senso salvare un orto mente tutto il mondo è distrutto? E se fosse l’unica cosa buona rimasta sul pianeta dovrei starmene sempre con la pistola in mano, come Viggo nel film di ieri, per difenderlo dai predoni.
Non lo so; so solo che oggi ho lo spleen, per colpa di Viggo. Ma domani, sono sicuro, uscirò di nuovo sul lato sud-ovest della casa.
Forse è ancora presto per mollare…
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