Il caicco naufragato a Cutro
3 minuti per la letturaCUTRO (KR) – Porta a Kabul l’inchiesta sui trafficanti che hanno organizzato lo sbarco terminato nel tragico naufragio dello scorso 26 febbraio a Steccato di Cutro. Lo si evince dalle dichiarazioni di un superstite afghano irreperibile, acquisite dal gip del Tribunale minorile di Catanzaro Donatella Garcea nonostante l’opposizione dell’avvocato Salvatore Perri, difensore di un pakistano non ancora diciottenne accusato di essere uno dei facilitatori utilizzati dagli scafisti durante la tragica traversata.
Altri tre naufraghi che dovevano essere sentiti non si sono presentati. L’afgano di cui sono state acquisite le dichiarazioni doveva essere ascoltato nell’udienza precedente ma ormai l’uomo ha lasciato l’Italia. Ed ecco cosa dice nel verbale nell’interrogatorio durante il quale era assistito dall’avvocato Domenico Poerio.
«Ho lasciato l’Afghanistan da solo nel 2021 per raggiungere la Turchia passando dall’Iran. Ho abitato a Istanbul e lavorato come sarto. Con il mio lavoro ho raccolto il denaro necessario per il viaggio verso l’Italia e da lì avrei voluto raggiungere mio fratello in Olanda. La mia famiglia aveva preso accordi con agenti afghani in Turchia per organizzare il viaggio. Gli agenti avevano chiesto la somma di 8500 euro che ho raccolto col mio lavoro. Gli agenti che erano in Afghanistan, e di cui non ricordo i nomi, mi hanno mandato la posizione su whatsapp del luogo dove dovevo recarmi per iniziare il viaggio, a Istanbul. Sono arrivato in una safe house e sono stato fatto alloggiare lì da due pakistani che controllavano me e le altre persone, da lì siamo partiti per arrivare in un cantiere edile e poi salire su un camion ed arrivare, dopo sette ore, sulla spiaggia di Cesme. Qui sono stato fatto salire su una prima imbarcazione che è andata in avaria dopo alcune ore, e dopo circa tre ore è arrivata una seconda imbarcazione con cui abbiamo proseguito per l’Italia».
L’equipaggio, secondo il teste, era composto da «quattro persone, tre turche e una siriana, e anche i due pakistani che avevo incontrato nella safe house. La seconda imbarcazione – ha aggiunto – era guidata da un turco e un siriano, ho potuto notarlo perché a volte mi facevano salire dalla stiva alla parte superiore per esigenze fisiologiche. I due pakistani ci dicevano di stare calmi, ci vietavano di prendere il telefono, ci dicevano di restare nella stiva e non salire, glielo dicevano i turchi di farlo».
Poi le traversie sul caicco malandato, fino all’affondamento. «La sera del 25 febbraio la barca ha avuto problemi e più volte si è fermata, volevamo salire in coperta ma quelli dell’equipaggio ci dicevano di stare calmi e restare giù altrimenti ci avrebbero potuto vedere ed arrestare. Ci tranquillizzavano dicendo che saremmo arrivati a destinazione, uno ci ha fatto vedere su un tablet la rotta e diceva che mancavano 30, 40 chilometri per arrivare sulla costa italiana. Alle 4 circa siamo arrivati nei pressi della costa, il mare era molto mosso e all’improvviso abbiamo sentito un forte rumore allo scafo e la barca a cominciato a piegarsi e imbarcare acqua. Mi trovavo sopra in quel momento e ho visto che la barca stava affondando. I componenti turchi dell’equipaggio hanno preso oggetti simili a tubi che hanno gettato in acqua, si sono tuffati per aggrapparsi ai tubi e poi scappare. Non appena la barca si è rovesciata mi sono tuffato e mi sono aggrappato a un pezzo di legno col quale sono riuscito ad arrivare a riva».
Per i testi non rintracciati ieri si prosegue il 18 aprile prossimo. E oggi prende il via dinanzi al gip di Crotone l’incidente probatorio a carico dei presunti scafisti adulti.
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