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Un gasdotto dell'Eni

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Servono una riprogrammazione e Repower Eu che consentano con urgenza a Eni, Snam, Terna e a tutti i soggetti  con competenze tecniche organizzate di mettere a terra 10/15/20 miliardi per realizzare il grande hub del Mediterraneo che garantisce l’indipendenza energetica e mantiene in vita le manifatture italiana e tedesca. Inserire dentro il Pnrr un meccanismo di incentivi per imprese e famiglie significa fare spesa effettiva buona e sostenere investimenti e consumi. Questo vuol dire  ragionare nella chiave di fare le cose non di continuare il solito balletto mediatico italiano. Entro fine aprile nuovo Piano e missioni saranno presentati a Bruxelles. Convertito in legge il decreto sulla governance arrivano i nuovi direttori generali.

Siamo davanti a un effluvio nazionale di parole e atti di irresponsabilità che riguarda alcuni esponenti della Lega e un gioco pesantissimo del nuovo Partito democratico e dei suoi satelliti di sinistra sinistra che si ritrova senza nemmeno rendersene bene conto sullo stesso terreno di un pezzo di informazione a volte di parte a volte tout court demagogica che alimenta da sempre il dibattito pubblico malato italiano. Questa saldatura viziosa che prima avveniva più con il mondo grillino che non con il Pd è molto pericolosa perché incide sulla credibilità internazionale dell’Italia e se non corretta con urgenza assoluta assume le dimensioni dell’attentato al bene comune.

Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) con i suoi 190 e passa miliardi è l’opportunità storica di questo Paese per completare il ciclo riformista e recuperare dopo almeno venti anni la capacità di fare investimenti pubblici. Sono in gioco quasi 15 punti di Pil di crescita soprattutto se si dimostrerà di sapere gestire queste risorse con un’unica regia riallineando scadenze e priorità con quelle dei fondi di coesione e sviluppo, del Piano nazionale complementare e dei fondi strutturali.

È una partita che vale complessivamente oltre 300 miliardi su un arco pluriennale che arriva fino alla fine di questo decennio che può cambiare lo status del Paese da incapace a capace di fare investimenti. È una partita che è la base dell’unica crescita lunga possibile per l’Italia, della nostra credibilità in Europa e della opportunità o meno di proseguire sulla strada europea del debito comune e di incidere su un patto di stabilità e crescita che metta al centro investimenti su beni comuni e politiche industriali comuni. Parliamo, cioè, di quell’Europa con l’Italia federale al centro che è la migliore situazione possibile per il nostro Paese.

Di fronte a una sfida di questa portata siamo costretti ad assistere a show sulla tv pubblica di esponenti leghisti che hanno già fatto scivolate vistose sull’euro per dire “che cosa aspettiamo a rinunciare alla parte a prestito del Pnrr perché se ci indebitiamo da soli siamo liberi di farlo come meglio vogliamo”. Omettendo  loro e astenendosi tutti dal fare presente che i tassi dei prestiti Pnrr sono prossimi allo zero e i Btp pluriennali sono al 4%, il decennale paga il 4,5%. Siamo costretti ad assistere a un racconto da fotoromanzo della politica italiana che tocca perfino i principali  organi di informazione italiana e costringe addirittura il Quirinale a dovere fare una smentita pubblica.

Siamo a una febbre da cupio dissolvi su un tema che dovrebbe chiamare tutti al massimo senso di responsabilità coinvolgendo maggioranza e opposizioni, burocrazia, forze sociali, dibattito della pubblica opinione. Invece è quotidiano l’esercizio di qualche forma di attentato al bene comune.

Come giudicare un presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, che è contrario ai pannelli solari nella sua isola? Che cosa dire di fronte a un sindaco di Milano, Beppe Sala, che è di certo un buon amministratore, ma non riesce mai a dire tra una candidatura e l’altra della sua città alla gestione dei fondi eventualmente inutilizzati che l’Europa ha approvato un Pnrr italiano così impegnativo per dare soldi produttivi al Sud non per continuare a finanziare il Nord?

I fatti veri sono che il ministro Fitto ha riunito opportunamente tutte le deleghe europee e ha avviato un ragionamento necessario per riorganizzare i progetti tra Pnrr, Fondo di coesione e sviluppo e Piano complementare mettendo quelli che non possono essere realizzati nei tempi del Pnrr dove c’è il tempo giusto per attuarli davvero e definire una proposta organica da articolare in missioni e da presentare come previsto entro fine aprile a Bruxelles. La rata di 19 miliardi è slittata di 30 giorni per i tempi delle concessioni portuali messe in gara, il teleriscaldamento e alcuni progetti che riguardano Firenze e Venezia che erano stati messi dentro di fretta e furia prima dell’arrivo di questo governo. Sono gestibilissimi e si stanno gestendo visto che anche ieri Fitto ne ha parlato con i sindaci di Firenze e Venezia oltre che con il presidente dell’Anci. Questo allarmismo italiano è davvero fuori luogo.

I punti veri sono altri. Dalla ricognizione è bene che si viri con urgenza, questo sì, su una riprogrammazione di tutto e di Repower eu che consenta a Eni, Snam, Terna e a tutti i soggetti – A2a, Iren e così via – con competenze tecniche organizzate di mettere a terra 10/15/20 miliardi per realizzare davvero il grande hub energetico e industriale del Mediterraneo che è indispensabile per garantire la indipendenza energetica italiana e europea e sostenere i ritmi produttivi delle due grandi manifatture europee che sono quelle tedesca e italiana. Un ruolo strategico nell’industria del futuro compete ovviamente all’Enel che a Catania ha già fatto molto. Inserire dentro il Pnrr un meccanismo di incentivi per imprese e famiglie significa fare spesa effettiva buona e sostenere investimenti e consumi. Questo significa ragionare nella chiave di fare le cose, non di continuare il solito balletto mediatico italiano. Questo significa mettere le basi della nuova manifattura del nuovo Mediterraneo che vuol dire crescita e ruolo guida del Mezzogiorno italiano e crescita aggiuntiva per l’intera Europa.

Vogliamo viceversa continuare con i soliti progetti sponda del fondo di coesione e sviluppo che sono una assoluta vergogna nazionale? Prendiamo atto della realtà. Non  spendi la quota di cofinanziamento nazionale. Non spendi la quota di cofinanziamento regionale. Spendi solo oggi la quota europea della programmazione 2014/20 dove tolta la parte Covid ti rendi conto che restano i progetti sponda e basta. Quindi, che cosa hai speso? Marchette, marchette, altro che sviluppo! Replica delle Regioni, di alcune Regioni: non è colpa nostra, è colpa dei ministeri, sì certo è vero i ministeri hanno colpe pari a quelle delle Regioni. E allora tutto ciò che cosa significa? Che hai la conferma di avere un problema al cubo, che il problema c’è e lo devi risolvere, e che lo devi fare ora. Non accentrando, ma riorganizzando, esattamente come sta facendo il ministro Fitto da Palazzo Chigi con il pieno avallo di Giorgia Meloni seguendo peraltro un solco non percorso fino in fondo ma già tracciato dallo stesso Draghi.

Appena il decreto della nuova governance verrà convertito in legge, arriveranno i direttori generali della nuova governance e Palazzo Chigi e Mef saranno finalmente i due motori di una macchina riorganizzata capace di spendere e di misurarsi con i problemi. Da questo punto di vista è davvero un’opportunità per chi ha fatto un lavoro così necessario quanto importante poterne riferire in Parlamento sperando che tutti in quella sede si vogliano assumere a viso aperto le proprie responsabilità mettendo per una volta l’interesse dell’Italia e dell’Europa prima del loro particolarissimo interesse di bottega.

Fitto e il governo Meloni devono trasferire il massimo di fiducia alla amministrazione pubblica a partire da quella più qualificata di tutti che riguarda il ministero dell’Economia in uno spirito riorganizzativo che ha giustamente Palazzo Chigi al centro. Senza questa scelta il nuovo Piano Marshall italiano, che è in euro invece che in dollari ed è più pesante di quello del Dopoguerra, sarebbe rimasto nelle mani di funzionari di valore che esprimono il massimo della competenza tecnica.

Questi funzionari avrebbero, però, operato senza quella tutela politica al massimo livello che non mancò con De Gasperi quando il Piano Marshall ebbe successo. Se si lasciava andare tutto avanti così senza una riorganizzazione e senza una visione politica, a metà dell’anno prossimo ci sarebbe stato un brusco risveglio coincidente con la inevitabile caduta del governo Meloni. Che vorrebbe dire, cosa ancora più grave, il fallimento dell’Italia tutta in Europa perché non ci sarebbero più i tempi tecnici per ripartire la quarta volta con un altro governo dentro un arco temporale limitato come è quello del Piano europeo. Per questo Mattarella ha richiamato proprio De Gasperi e ha chiamato tutti a mettersi alla stanga. Chi lo vuole usare politicamente in termini mediatici o è un invasato o non è all’altezza delle responsabilità che ricopre.


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Stefano Mandarano

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