Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni
4 minuti per la letturaIncarichi pagati per due anni nella pubblica amministrazione a chi è già in pensione, stipendi aggiuntivi per gli uomini di staff degli enti locali scelti con il solito manuale Cencelli da sceriffi del Sud e del Nord o fondi vari per i trattamenti accessori. Quello che invece serve è rimettere in moto la macchina degli investimenti pubblici e uscire dal sacco delle clientele dei fondi di coesione e sviluppo dove le Regioni italiane e i ministeri falliscono da decenni e hanno esaurito la pazienza degli interlocutori europei. Si assumano ben pagando le professionalità che mancano nella tecnostruttura tra Palazzo Chigi e Mef e si allineino le scadenze dei vari tipi di fondi europei negoziando con la Commissione e concentrando la spesa pubblica effettiva sui temi energetici strategici e sulla infrastrutturazione materiale e immateriale del Mezzogiorno.
LA CRESCITA sarà quest’anno di qualche decimale più elevata di quanto previsto. Si oscilla tra più 0,8/0,9%. Forse si farà anche qualcosina di più. L’economia italiana va meglio di tutte le previsioni per il terzo anno consecutivo e c’è una difficoltà strutturale a farlo capire ai centri studi italiani che non riescono nemmeno a rendersi conto che il quadro geopolitico globale avvantaggia stabilmente manifattura e Sud italiani e fa battere in testa la grande manifattura tedesca filorussa e filocinese. Si fa anche fatica a capire che il risparmio delle famiglie italiane resta più elevato di quello delle famiglie degli altri grandi Paesi europei e che, quindi, servizi, consumi e così via persistono in una maggiore resilienza.
Fa specie che a non rendersi conto di quello che accade realmente siano più di tutti i previsori legati al mondo della produzione che dovrebbero disporre di notizie di prima mano. Alla fine i soliti profeti di sventura di casa nostra saranno ancora una volta smentiti dai fatti. Anche se è ovvio che l’incognita grossa legata ai rialzi dei tassi della Banca centrale europea (Bce) a noi fa più male che agli altri. Anche se è ovvio che l’inflazione che sussidia i profitti è ancora la più odiosa delle minacce che incombono sulla nostra crescita. Quello che, però, dovrebbe essere al centro della discussione è altro. Quello che dovrebbe essere chiaro a tutti è che per attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) non servono marchette. Non servono incarichi pagati per due anni nella pubblica amministrazione a chi è già in pensione, stipendi aggiuntivi per gli uomini di staff degli enti locali scelti con il solito manuale Cencelli da sceriffi del Sud e del Nord o fondi vari per i trattamenti accessori.
Quello che dovrebbe essere chiaro a tutti è che per rimettere in moto la macchina degli investimenti pubblici che a sua volta ne mobilita di privati bisogna uscire di fretta e furia dal sacco delle clientele dei fondi di coesione e sviluppo dove le Regioni italiane tutte e i ministeri falliscono da decenni e hanno esaurito la pazienza degli interlocutori europei. Se c’è qualche eccezione che non va proprio bene, ma diciamo che fa meno male degli altri questo non cambia il quadro generale e non può non imporre una revisione complessiva in corsa del modus operandi della macchina amministrativa nazionale e territoriale.
Ciò che oggi serve davvero è: 1) una tecnostruttura come quella che si sta costruendo tra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia e finanze (Mef) assumendo e ben pagando qui non altrove le professionalità che mancano; 2) bisogna portare alle estreme conseguenze il modello Fitto allineando le scadenze dei vari tipi di fondi europei e negoziando con la Commissione passaggi e qualità delle scelte che bandiscano i micro interessi e concentrino sui temi energetici strategici e sulla infrastrutturazione materiale e immateriale del Mezzogiorno la spesa pubblica effettiva. Che a sua volta mobilita buona spesa privata.
Questo significa fare l’interesse del Paese e cogliere la storica opportunità europea. Questo significa mettersi tutti alla stanga come ha giustamente chiesto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Se si volesse essere coerenti fino in fondo e sottrarsi al rumore della polemica solo politica sull’autonomia differenziata, sarebbe il caso di sfruttare i varchi costituzionali aperti in quella legge dall’articolo 9 e dall’esplicito richiamo all’articolo 119 della Costituzione perché sia chiaro a tutti che alla spesa storica non si ritorna più e che il riequilibrio dei diritti di cittadinanza deve essere garantito. Che cosa ci sarebbe di meglio di attingere ai fondi europei che le Regioni non spendono o, peggio, sprecano in altre marchette per investire decine di miliardi l’anno nella ricostituzione dei diritti di cittadinanza nella scuola come nella sanità e nei trasporti?
Chi scrive è contrarissimo all’autonomia differenziata perché moltiplicherebbe al cubo, frazionandole, quelle inefficienze concorrenti delle amministrazioni centrali e territoriali facendo fare ancora meno opere e meno investimenti. Prova, però, uguale fastidio ad ascoltare questi sceriffi del Sud e del Nord che alzano il rumore della polemica sui “loro” fondi europei e che usano l’autonomia differenziata che non ci sarà come clava elettorale per guadagnare consensi in questa o quella regione. Sono fuori dalla realtà e francamente ci fanno anche un po’ pena.
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