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L’élite russa è chiamata a supportare una causa rivelatasi rovinosa anche per loro, la guerra in Ucraina infrange il patto con Putin

Il portavoce dell’intelligence militare ucraina Andriy Yusof ha reso noto nelle scorse ore che molti rappresentanti della cosiddetta élite russa sono intenzionati a negoziare garanzie di sicurezza personale con l’Ucraina, perfettamente consapevoli del fatto che l’“operazione fallimentare speciale” di Putin sia stata un errore colossale e un crimine, il cui finale sarà tragico per la Russia. Decine di oligarchi stanno cercando di stabilire contatti ad alto livello con l’intelligence ucraina per trovare opzioni in grado di consentir loro un’exit strategy il meno dolorosa possibile per uscire dal pantano in cui li ha infilati Putin.

Yusof chiosa suggerendo proprio a quest’ultimo e alla sua cerchia più vicina di guardarsi la bella commedia “La morte di Stalin”. «Molto istruttiva e ricca di analogie con la Russia moderna ma soprattutto utile a loro per comprendere a cosa dovrebbero prepararsi».

PUTIN, LA GUERRA IN UCRAINA E I DUBBI DELL’ELITE RUSSA

A prescindere dalla sua paternità, smentita (forse per timore di ricevere riscontro dal diretto interessato con una raccomandata al Polonio) e poi riconfermata, l’audio diffuso nei giorni scorsi da “Novaya Gazeta Europe” non è dunque privo di fondamento: «Putin ha seppellito la Russia, ha fregato tutti e tutto, l’intero Paese, l’intera popolazione».

Se inquadrato in una timeline più ampia, questo passaggio-chiave della conversazione telefonica verosimilmente avvenuta tra il magnate russo Farkhad Akhmedov ed il produttore musicale Iosif Prigozhin estrapolato dal media indipendente russo (bandito nel proprio Paese) aiuta a comprendere come si è giunti alla situazione attuale, e soprattutto come uscirne.

La connessione tra il regime e la società, in Russia, è posta su due livelli: uno coinvolge lo strato sociale più basso, e l’altro una stretta cerchia di persone legate al regime da interessi di vario ordine. Il controllo del primo passa per quello dell’informazione, fondamentale per qualsiasi autocrazia per creare nella società una percezione della propria competenza e del proprio dominio politico, formare un consenso sociale a sé favorevole, distorcere i risultati elettorali e prevenire o disperdere le proteste di piazza.  

LA TRASFORMAZIONE DELLA RUSSIA DI PUTIN ALL’INDOMANI DELLO SCOPPIO DELLA GUERRA IN UCRAINA

Senza censura non c’è autocrazia. In questi mesi però, la dominance in Russia è passata gradualmente da un sistema autocratico ad uno totalitario, e questo è stato uno dei motivi dell’inizio della fine per chi rappresenta quel sistema.
L’approccio inizialmente imposto da Putin era di tipo cooptativo, cioè basato sulla “cura” dell’informazione, che veniva selezionata seguendo una linea morbida pensata per favorire una maggior diffusione dell’informazione manipolata all’interno dei vari strati del tessuto sociale, nei quali penetra meglio in quanto digerita e ritenuta credibile da un target che finisce per assorbirla senza confutarla.

Quello attuale invece è di tipo coercitivo, del tutto simile a quello imposto da Lukashenko, rivelatosi però già in Bielorussia meno efficace. Provocando una reazione avversa ed immediata nel target e finendo per generare interesse proprio verso quei media indipendenti fortemente repressi dallo Stato, la linea dura ripaga meno. Basta pensare a ciò che succede nel nostro Paese per capire quanto la cooptazione alla desinformatija sia un prodotto facilmente esportabile, in grado di consentire il controllo dei social network, dei media compiacenti e dunque del bersaglio. La coercizione al contrario provoca (come in Bielorussia da anni ed in Russia oggi) un meccanismo d’azione-reazione che rende quasi totalmente inaccessibile il target, impermeabile per scelta a quel tipo di condizionamento. Il fatto che sia meno virale ne frena inoltre la diffusione in altri Paesi.

Da curare l’informazione di Stato, in Russia s’è presto passati a curare chi la rifiuta. Il regime non cerca più di smobilitare la gente dalla politica, ma di mobilitarla coinvolgendola nella guerra. Evocando continuamente il concetto di “fortezza assediata”, Putin fa appello allo stesso spirito patriottico che consentì ai russi di fronteggiare la minaccia nazista proveniente da Occidente, resistendo all’assedio di Leningrado. I messaggi rivolti alla popolazione dal criminale seduto al Cremlino sono ricchi di slogan e di rimandi ad una medesima minaccia nazista in arrivo da Ovest, e puntano a generare negli strati più bassi e ignoranti della società una stessa reazione, facendo digerire piccole o grandi rinunce per il bene collettivo.

IL POPOLO RUSSO OSTAGGIO DI UN SISTEMA DI CONTROLLO

Il popolo russo è ostaggio di in sistema in grado di controllarne le comunicazioni, intercettarne le distonie ed assuefarne le vite, e non è in grado di guarire da quella Sindrome di Stoccolma che lo porta a far quadrato attorno al proprio carceriere. Il disinteresse iniziale verso la politica, la consuetudine, l’abitudine e i pochi mezzi a disposizione hanno portato il russo medio (che non è il “tiktoker” di Mosca o San Pietroburgo) ad ignorare totalmente realtà diverse da quelle in cui vive da generazioni, sottovalutando la pericolosità di un sistema marcio e corrotto di cui è succube e al contempo vittima.

Il disamoramento verso le istituzioni, la forte repressione e la censura di ogni pensiero distante da quello unico sostenuto dallo Stato hanno lentamente sfumato l’indifferenza in acquiescenza, per indurla poi al sostegno attivo.
L’indottrinamento e il coinvolgimento dei civili passa attraverso le istituzioni e i media statali ma anche per quelli religiosi: Kirill (come Putin, anch’egli ex-agente del KGB) ha sottoposto ad un martellamento ideologico tutti i fedeli del Patriarcato Ortodosso di Mosca (non a caso recentemente sfrattato dal glorioso suolo ucraino). La persuasione esercitata all’interno degli istituti religiosi ora viene addirittura precorsa dall’indottrinamento delle giovani generazioni, che passa per l’insegnamento tra i banchi di scuola.

Se l’opinione pubblica in Russia conta poco, quella delle élite vincolate da interessi di vario ordine con l’apparato criminale che vede in Putin il suo frontman, invece, conta eccome. E qui si disvela la natura della connessione tra il regime e quest’altro secondo strato della società. Il patto criminale che legava Putin al gotha russo era fondamentalmente basato sull’indifferenza ripagata con la facoltà di poter disporre d’immense ricchezze in patria, in grado di consentire l’apertura di praterie in Occidente. “L’operazione fallimentare speciale”, però, ha infranto questo patto.

MALGRADO I FALLIMENTI NELLA GUERRA IN UCRAINA L’ELITE RUSSA È COSTRETTA A SUPPORTARE L’INIZIATIVA DI PUTIN

Nonostante i continui fallimenti riportati al fronte, l’élite russa è chiamata oggi a supportare comunque una causa rivelatasi a conti fatti rovinosa anche per loro. Sanzionati in Occidente, non tutti gli oligarchi oggi accettano che l’indifferenza diventi sudditanza. I recenti fatti di cronaca di cui sopra dimostrano quanto quelle poche ma influenti persone non siano affatto disposte a ricoprire il ruolo dei Filistei nel tempio, con Sansone.

Abituati a parlare in soldoni, alcuni oligarchi hanno probabilmente capito che spendersi la promessa infranta da Putin sia come pagare con una moneta fuori corso, e che forse conviene scendere a più miti compromessi con le intelligence occidentali per non finire alla sbarra assieme ai criminali, che presto o tardi finiranno processati dall’Uomo ancor prima che da Dio.


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