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Raffaele Fitto

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Vanno messi a terra gli investimenti. Sui 27 target di fine giugno i ministeri chiedono di rimodularne o rideterminarne 14. Che è più della metà dell’impegno assunto con la Commissione. Dall’istruzione allo sport. Dal lavoro alle imprese. Entro dicembre sono 96, quasi tutte gare da aggiudicare. Avevamo chiesto nel novembre del 2022 di trovare un nuovo Figliuolo, invocarlo ora a scoppio ritardato non serve perché non ci sono i tempi per nuovi assetti operativi. All’epoca si rispose che il nuovo Figliuolo era Fitto e nella messa a regime della governance interna e nella interlocuzione con Bruxelles si è visto lo stesso piglio. I risultati del 2022 lo dimostrano nonostante polemiche strumentali. Oggi il ministro e i suoi capi dipartimento con la Ragioneria generale dello Stato facciano sentire il peso della frusta nei confronti di chi vuole rimodulare gli obiettivi. Dalla frustata di oggi può arrivare la nuova Cassa delle grandi opere di domani.

Il 2023 è l’anno in cui devi mettere a terra gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Sui 27 obiettivi da raggiungere entro giugno i ministeri hanno chiesto di rivederli, rimodularli o rideterminarli per un numero pari a 14. Che è pari a più della metà di quelli su cui ci si era impegnati con la Commissione europea. Dall’istruzione allo sport. Dal lavoro alle imprese.

Per capire quanto sia importante non sottovalutare la segnaleticità di questo ritardo basti pensare che entro la fine dell’anno gli obiettivi da conseguire sono 96 e sono quasi tutte gare da aggiudicare. Che stanno partendo adesso e, quindi, in ritardo. Non tutti, a onore del vero. Anche per i Comuni. Anche per i Comuni del Mezzogiorno. Ogni volta che si devono fare accordi con le Regioni il quadro operativo già intricato si complica ulteriormente. Sui servizi idrici, in particolare, le Regioni Campania e Sicilia che rivendicano ruoli e poteri non hanno fatto niente. Sono inadempienti su tutta la linea.

Il forcone di Fitto e dei suoi uomini si scontra con queste inefficienze strutturali e il racconto italiano della vicenda Pnrr è in balia della demagogia politica a fini interni e, quindi, doppiamente grave. Perché si parla tanto della rata di 19 miliardi del 2022 dove i trenta giorni in più sono legati a progetti messi dentro in fretta e furia su piani urbani, teleriscaldamento e qualche ritardo di troppo sulla lunghezza delle concessioni portuali, ma sono comunque ampiamente gestibili e gestiti.

Il punto strategico di fondo è quello della messa a terra di gare e cantieri e di un quadro di priorità che sia coerente con il contesto internazionale, le scelte che ne conseguono e le capacità effettive di spesa. Nel novembre del 2022 ci eravamo permessi di chiedere al governo di trovare un nuovo Figliuolo per il Pnrr come fece Draghi per l’emergenza Covid perché si era nei tempi giusti per farlo. La risposta fu che il nuovo Figliuolo era Fitto e non si può dire che nella messa a regime della governance interna e nella interlocuzione con Bruxelles il ministro delegato non abbia rivelato lo stesso piglio.

Chiederlo oggi a scoppio ritardato non servirebbe più perché si sono esauriti i tempi tecnici per ridisegnare impalcature e assetti operativi. Oggi è necessario che Fitto e i suoi capi dipartimento in un gioco di squadra con la Ragioneria generale dello Stato facciano sentire il peso della frusta nei confronti di chi chiede di rimodulare gli obiettivi. Perché c’è dentro di tutto. Ciò che va bene e ciò che non si può accettare. Soprattutto, come si sta facendo, tutto deve essere concordato con l’Europa.

Anche perché questa situazione di limbo spinge a valutazioni frettolose per cui si parla di un 6% di spesa effettiva anche nei rapporti della Corte dei Conti, quando questi calcoli sono nettizzati rispetto a bonus edilizi e incentivi 4.0 per cui la spesa vera cambia e la compensazione arriverà dopo. Serve una struttura che stia dietro i ministeri per mettere a terra gli investimenti facendo in modo che le gare non durino più una eternità e i lavori si chiudano in tre anni. Questo serve, non altro. Si aggiusti in corsa tutto ciò che va ancora aggiustato e si commissari tutto ciò che va commissariato.

Parallelamente proceda l’opera decisiva di allineamento tra scadenze di soldi a fondo perduto e prestiti con quelli del Fondo di coesione e sviluppo e si facciano con Repower Eu tutti gli aggiustamenti che si ritengono giusti in dialogo costante con la Commissione europea. Oggi non basta più chi monitora, serve chi spinge e questa spinta ora non può venire che da Palazzo Chigi. Serve una convenzione dei volenterosi. Fitto deve lanciare una convenzione dove stanno insieme tutte le risorse sparse istituzionali, economiche e sociali di questo Paese. In questo senso oggi serve un Figliuolo collettivo.

Servono gesti fortemente simbolici quest’anno e dobbiamo mettere a terra i cantieri ovunque è possibile. Bisogna provarci sempre e indirizzare strategicamente le altre risorse cadenzandole su calendari realistici. Bisogna convincere la gente che si va tutti in quella direzione. Bisogna marciare. Senza un idem sentire non si cammina e non si mette all’angolo quella propaganda del rumore che ammazza tutto. Lo spirito del messaggio di Mattarella quando ha richiamato De Gasperi e ha rievocato l’immagine di tutti alla stanga è questo. Dalla frustata di oggi può arrivare la nuova Cassa delle grandi opere di domani. Non ha molta importanza capire perché oggi siamo un po’ più indietro, i conti con la storia si fanno con quello che si fa, non con quello che si recrimina. Anche perché in questo caso ognuno avrà sempre la sua versione e aumenterà solo il rumore.


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