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Il pm Francesco Curcio

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Condanna definitiva per Antonio Gialdino di Policoro dovrà scontare 10 anni di reclusione per il tentato omicidio di Vincenzo Mitidieri e Mario Lorito

POTENZA – Sta già scontando la condanna definitiva a 10 anni di reclusione per «duplice tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso» il 52enne di Policoro, Antonio Gialdino.

Lo ha reso noto, ieri, il procuratore distrettuale Antimafia di Potenza, Francesco Curcio, dopo il passaggio in giudicato della sentenza per quanto accaduto la sera del 10 ottobre 2019 nella cittadina ionica. Con i tre colpi di pistola esplosi dal 52enne in direzione di un noto pregiudicato della zona, Vincenzo Mitidieri, considerato dall’Antimafia il boss dell’omonimo clan operante a Policoro e dintorni, e il ferimento di un altra persona che si trovava con lui, Mario Lorito.

Curcio ha evidenziato l’importanza di essere riusciti ad arrivare «in tempi ragionevoli» a un accertamento definitivo sull’accaduto per «fatti di così significativa gravità», a riprova che «lo Stato, in tutte le sue articolazioni, anche nei procedimenti di criminalità organizzata, è in grado di operate con efficacia, coniugando le esigenze di tutela della collettività con la inderogabile necessità di applicare le regole di garanzia poste a presidio della libertà personale».

POLICORO, LA CONDANNA DI GIALDINO

Quanto al contesto in cui è maturato il tentato omicidio, il procuratore ha fatto riferimento «a una lunga scia di danneggiamenti ed aggressioni, anche armate, tra appartenenti a due contrapposte organizzazioni criminali di Policoro».

«Appare evidente – ha aggiunto – che la forza intimidatrice del messaggio lanciato nei confronti delle vittime del tentato omicidio fosse funzionale a rafforzare quel diffuso clima di assoggettamento ed omertà che si respirava a Policoro negli anni scorsi». Quindi ha ricordato che «nel comune del Metapontino, fino al 2019 vi furono numerosi tentati omicidi, danneggiamenti, aggressioni, attentati incendiari ad attività imprenditoriali, commerciali ed agricole». Pertanto ha definito «verosimile» che «la rapida individuazione dell’autore di questo tentato omicidio abbia impedito il verificarsi di fatti analoghi, in una prevedibile spirale di vendetta».

Mitidieri e Lorito erano stati colpiti all’esterno del chiosco-bar in via Salerno della famiglia Gialdino, il “Sandwich beach 2”. Qui erano sopraggiunti per chiedere “soddisfazione” per il pestaggio avvenuto lì attorno, poco prima e per motivi misteriosi, di una quarta persona, mai identificata ma ritenuta un loro protetto, da parte di «un gruppo di individui» rimasti a loro volta non identificati.

LE AZIONI SUCCESSIVE AL TENTATO OMICIDIO

Subito dopo quel pestaggio alcune telecamere di sorveglianza avevano ripreso il 52enne andare via in auto «a velocità sostenuta» per ritornare 6 minuti più tardi. Quando si sono materializzati Mitidieri e Lorito, quindi, Gialdino si sarebbe mosso di nuovo verso la sua autovettura, per prendere la pistola. Pistola che aveva appena recuperato da un nascondiglio mai individuato, «per poi tornare sul posto e ferire con la stessa i suoi rivali».

«Subito dopo il Gialdino – spiega ancora il procuratore – si allontanava, si disfaceva della pistola e cambiava i suoi vestiti nel tentativo di eludere le indagini». Gli inquirenti, infatti, non hanno mai trovato l’arma del delitto, mentre nell’auto del 52enne è saltato fuori un bossolo compatibile con i proiettili esplosi.

Inquadrando l’accaduto nell’ambito delle tensioni tra i clan del metapontino, gli investigatori avevano valorizzato la presenza all’esterno del locale, poco dopo gli spari, del cognato del boss Salvatore Scarcia. Questi era rimasto coi figli di Gialdino, impegnati a lavare il sangue dalla strada, mentre tutti gli altri clienti si erano dileguati.

L’ANALISI DELLA DIA SUL TENTATO OMICIDIO

Quanto accaduto al “Sandwich beach 2” era stato analizzato anche in una delle relazioni della Direzione investigativa antimafia. Per la Dia il fattaccio sarebbe stato da ricondurre alle tensioni tra il clan Mitidieri e un’altra storica organizzazione criminale del metapontino come il clan Scarcia. Scontro acceso dal «vuoto di potere» creato dagli arresti compiuti nei mesi precedenti tra le file di un altro gruppo capace di imporsi per anni sul territorio: quello di base nella vicina Scanzano Jonico e guidato dall’ex carabiniere Gerardo Schettino.

Durante gli accertamenti sull’accaduto gli inquirenti avevano registrato anche la «condotta omertosa» di quanti avrebbero potuto raccontare come sono andati i fatti, ma si sono trincerati dietro i “non ricordo” e i “non ho visto”. Un’omertà, secondo la Cassazione determinata «se non dalla connivenza, dalla paura, dalla consapevolezza dello spessore criminale dei protagonisti della vicenda, autore e vittime comprese».

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