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Come il fumo passivo, così Sanremo. Come le sigarette degli altri, anche chi non se le accende, si ritrova comunque a respirarle. E così ogni ideogramma dal teatro Ariston è il tazebao della Grande Marcia Sanremese. Altro che il populismo di Beppe Grillo. Se c’è radice nascosta in questa settimana di chiacchiere & musica questa è l’ideologia. Ha voglia di perdere l’amore un Massimo Ranieri, il suo imprinting resta Bertold Brecht, e il vero Volare non è quello di Domenico Modugno ma l’aviatore che vola nell’Anima buona di Sezuan con cui Giorgio Strehler – il regista dei registi dell’impegno – fece dello scugnizzo del bel canto un testimonial del proletariato calorosamente accolto nei salotti di Milano. Anche lo stesso Modugno, con grande fatica, fu preso da Strehler nell’Opera da tre soldi. Il risultato tutto di scrittori e popolo che con l’uno e con l’altro invera a Sanremo l’eterna Festa dell’Unità si perpetua a prescindere dal Pci che non c’è più, dalle pagine di Alberto Asor Rosa che non si leggono più e dalla stessa egemonia gramsciana in ogni modo traghettata nell’attenta regia degli agenti delle star che sul “canta che ti passa” impongono il “canta che ti educo”. La missione è quella di raddrizzare il legno storto dell’umanità. La rivoluzione che in tutto il mondo non è mai un pranzo di gala solo in Italia diventa una gara di musica leggera. Altro che il populismo di un Beppe Grillo, Blanco che sfascia tutto sul palco perché non gli funzionano le cuffie d’ascolto è l’unica presa della Bastiglia possibile per noi e le rose rosse comunque, le care, solite e – giammai riposte – bandiere rosse.
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