Raffaele Fitto e Giorgia Meloni
5 minuti per la letturaChe significa essere capaci di realizzare investimenti strategici spendendo bene i fondi europei. Tutti i ministri competenti e i capi delle grandi aziende energetiche del Paese chiamati insieme a attuare il nuovo capitolo strategico da inserire nel Pnrr. Si va oltre la rimodulazione dei progetti in cantiere in pieno accordo con l’Europa. Calibrando le scadenze sulle capacità effettive di realizzazione tra Pnrr e Fondo di sviluppo e coesione eliminando le marchette e utilizzando la flessibilità accordata. Siamo a un modello francese di governance dove esecutivo, amministrazione e grandi imprese marciano uniti. Si capisce ora l’importanza della scelta politica della competenza di affidare a un’unica guida ministeriale presso la presidenza del consiglio la gestione non solo del Pnrr ma di tutti i fondi europei
Vorremmo avvisare chi ostinatamente non vuole capire che qualcosa di profondamente serio sta accadendo per infrangere il tabù storico della politica Italia. Che è quello della mancanza di capacità di realizzazione delle cosiddette priorità strategiche, peraltro quasi mai nitide, che agli occhi del mondo esprime plasticamente la miopia della politica italiana. A sua volta figlia di una cronica instabilità con governi, anche i migliori, che sono costretti a durare uno o due anni, e quindi possono anche avviare il cambiamento di capacità esecutiva ma non portarlo a regime.
Diciamoci la verità. Il Paese è stato obbligato dalle pulsioni suicide della sua politica partitocratica e sovranista a fare i conti fino a oggi con una doppia assenza. La prima è quella di qualcuno che potesse mettere la faccia su un progetto di medio termine del Paese che nel caso dell’Italia riguarda obbligatoriamente il nostro Mezzogiorno come capitale del Mediterraneo e hub energetico e industriale per l’Europa. La seconda assenza altrettanto strategica è quella di qualcuno che potesse mettere la sua faccia e dietro di lui l’organizzazione centralizzata con tutti i poteri sostitutivi possibili e immaginabili per realizzare effettivamente questo progetto di medio termine.
I due qualcuno di cui stiamo parlando, oggi esistono. Se ne sono accorti nelle amministrazioni dei ministeri italiani e ai massimi livelli della Commissione europea con i loro “ministri” e le loro potentissime burocrazie. Se ne accorgeranno molto presto i capi bastone dei potentati governativi regionali italiani e le loro nomenclature burocratiche. I due qualcuno sono rispettivamente la premier, Giorgia Meloni, e il ministro per l’Europa, Raffaele Fitto, che in piena armonia con la Ragioneria generale dello Stato e il ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) stanno silenziosamente lavorando in casa e fuori per assicurare al Paese quella governance stabile che consenta di dimostrare al mondo che in Italia si è finalmente capaci di fare investimenti pubblici e di mobilitarne di privati.
La flessibilità di fatto accordata nell’utilizzo di tutti i fondi europei è il capolavoro politico del governo Meloni in sede europea che misura come meglio non si potrebbe un giudizio di fiducia sul percorso realizzativo intrapreso e certifica che sono caduti tutti i fantasmi di inaffidabilità di origine sovranista che avevano accompagnato l’avvento della Destra a Palazzo Chigi. Sono risultati affatto scontati e straordinariamente importanti per la crescita sana della nostra economia.
Questa è la realtà che si vuole fare sparire dal dibattito pubblico con racconti semplicemente disinformati o espressione di pregiudizi di analisti da puzza sotto il naso o versione di mandarinati rancorosi. Questa è la scelta di governance centralizzata presso Palazzo Chigi che si muove come nella politica di finanza pubblica e in politica estera energetica in piena continuità con le intuizioni strategiche di Mario Draghi.
Che è stato l’artefice di un progetto di sviluppo europeo che ha messo finalmente l’Italia al centro (nel 2021 abbiamo versato all’Europa 18,1 miliardi ricevendone 26,7 dei quali 10,1 sono Pnrr) e ha indicato nella governance centralizzata con poteri sostitutivi presso Palazzo Chigi la chiave del motore della ripresa italiana. Questa intuizione, che è quella giusta, era stata attuata con successo sul piano delle riforme, ma portata avanti con fatica sul piano della capacità di fare gli investimenti, aprire i cantieri, mettere a sistema la gerarchia esecutiva e le scadenze temporali possibili dei progetti piccoli e grandi del mega Piano strategico oggi ribattezzato Piano Mattei che è quello dell’Italia hub dell’Europa con il suo Mezzogiorno.
Chi ha occhi per vedere e onestà da assenza di pregiudizi per giudicare dovrà riconoscere che Giorgia Meloni e Raffaele Fitto stanno dando a quella stessa cabina di regia del Pnrr una pulsione operativa da sistema Paese che non si era vista prima. Sotto la guida di Meloni e Fitto tutti i ministri competenti – Imprese, Politiche agricole, Ambiente, Infrastrutture – e tutti i capi delle grandi aziende energetiche del Paese – Enel, Eni, Snam, Terna – sono stati chiamati all’esercizio delle loro responsabilità perché diventi realtà il nuovo capitolo strategico da inserire nel Pnrr che è appunto il Piano Mattei. Utilizza anche le risorse del Repower Eu ed è la versione italiana del Piano europeo per fronteggiare le difficoltà del mercato energetico globale causate dalla guerra in Ucraina.
Si sta andando molto oltre la rimodulazione dei progetti in cantiere e lo si sta facendo in pieno accordo con l’Europa e operando per l’Italia e per la stessa Europa. Siamo davanti alla priorità delle priorità che è quella di arrivare alla totale eliminazione del gas russo e a fare dell’Italia il grande hub energetico del Mediterraneo per tutta l’Europa in un rapporto di cooperazione alla pari soprattutto con i Paesi africani. Si tratta di un vero progetto Paese fatto di un grande investimento sulle fonti rinnovabili per aumentarne la produzione e di un piano di diversificazione delle fonti e di riduzione dei consumi.
Un progetto Paese che fa politica industriale e ricorre a nuovi strumenti finanziari per rendere l’Italia più sostenibile sul piano energetico e capofila dell’intero processo europeo di indipendenza. Siamo di fronte a un modello francese di governance da sistema Paese dove esecutivo, amministrazione e grandi imprese marciano finalmente uniti. Si capisce ora l’importanza innovatrice della scelta politica della competenza di affidare a un’unica guida ministeriale presso la presidenza del consiglio la gestione non solo del Pnrr ma di tutti i fondi europei.
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