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Giorgia Meloni e Raffaele Fitto

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È quello della capacità di spesa che resta intatto con la flessibilità ottenuta. Puoi buttarlo giù solo con una situazione differenziata. Per cui le Regioni più efficienti se la vedono da sole con i soldi di cui hanno diritto non con quelli che si sono presi con la forza mentre per le Regioni inadempienti scattano i poteri sostitutivi di una struttura tecnica come fu la prima Cassa di Pescatore. Di fatto lo Stato centralizza con una sola governance un pezzo di Paese erogando al Sud l’80% delle risorse con 30 miliardi che parificano la situazione dei diritti e tutto il resto investito per il grande hub dell’Europa che ha la sua capitale nello stesso Sud. Per gestire una dimensione di problemi così complessa serve un patto nazionale altrimenti tutto muore dentro l’eterno conflitto Stato-Regioni che si cumulerà ai vizi strutturali delle macchine amministrative territoriali e ministeriali. Siamo arrivati al dunque perché non dobbiamo più sistemare le carte da portare in Europa ma aprire i cantieri e fare le cose in Italia per non perdere i soldi dell’Europa

La partita europea dell’Italia per oggi è una sola. Si chiama piena flessibilità nell’utilizzo dei fondi europei già a disposizione dello Stato italiano per affrontare la sfida energetica e manifatturiera del nuovo hub del Mediterraneo per l’Europa e, allo stesso tempo, per disinnescare la mina leghista di un’autonomia differenziata che può spaccare il Paese per sempre senza un massiccio utilizzo di tutte le risorse europee a partire dai fondi di coesione e sviluppo inutilizzati o sprecati da Regioni e ministeri per colmare un divario di partenza di almeno trenta miliardi nei diritti di cittadinanza tra le due Italie del Nord e del Sud, come delle aree metropolitane e interne.

Questa è la partita delle partite che la premier Giorgia Meloni e il ministro delegato per l’Europa, Raffaele Fitto, hanno giocato a Stoccolma come a Berlino rispettivamente con il premier svedese, Ulf  Kristersson, presidente di turno dell’Unione europea, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, muovendosi con accortezza dentro il quadro storico di alleanze dell’Italia. Le mosse di Giorgia Meloni sullo scacchiere europeo e tedesco in particolare sono state sempre accorte e si sono sviluppate nel solco di quella interconnessione tra le due economie che ha il suo fulcro nella grande manifattura tedesca e nella manifattura di precisione italiana ad essa collegata.

Il lavoro che la premier e Fitto hanno svolto in silenzio con tutte le istituzioni europee senza mai accendere inutili polemiche interne è stato quello di fare prendere coscienza a tutti che la problematicità della crisi globale e la strutturalità della crisi italiana nella capacità di fare investimenti imponessero una scelta politica di competenza che riunisse tutte le deleghe europee e una capacità di dialogo con le stesse istituzioni europee per rifocalizzare priorità e obiettivi secondo nuovi vincoli strategici e una effettiva capacità di perseguirli.

Chi scrive ha sostenuto più volte e vuole qui ripeterlo che non era affatto scontato che il primo governo della Destra italiana potesse superare i test dei mercati e delle istituzioni europee con un giudizio di così piena approvazione portando avanti peraltro un’azione di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo che non significa occuparsi di Sud per il Sud ma dare all’Europa intera la sua unica effettiva occasione di crescita aggiuntiva almeno per il prossimo decennio in una logica di riglobalizzazione alla luce del nuovo ordine mondiale e della guerra delle materie prime determinati dai carri armati russi in Ucraina con il loro carico di crimini umani e economici.

Il  vero problema che hanno oggi davanti Meloni e Fitto, avendo di fatto ottenuto ciò di cui molti dubitavano, è quello di dimostrare di avere la capacità di spendere bene questi soldi. Sapendo che i fondi europei sono delle Regioni e devono comunque trovare un accordo con loro, ma anche avendo chiaro che qualora si ripetesse il solito copione di paralizzante clientela l’arma obbligata da usare è quella dei poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti. Il paradosso della situazione è che hai vinto in Europa, potrai presumibilmente dire la tua anche sugli investimenti fuori dal nuovo patto di stabilità europeo, ma se utilizzi la logica dei poteri sostitutivi con tutte le Regioni puoi entrare in rotta di collisione con le pochissime che preservano qualche livello di efficienza e le eventuali intese di autonomia differenziata complicano ulteriormente il quadro.

Paradossalmente puoi uscire solo con una situazione davvero differenziata. Per cui le Regioni più efficienti se la vedono da sole e fanno quello che sanno fare con i soldi giusti di cui hanno diritto, non con quelli che si sono presi fino a oggi con la forza, mentre per le Regioni inadempienti si applicano i poteri sostitutivi utilizzando una struttura tecnica tipo quella della prima Cassa di Pescatore che fece il miracolo economico italiano del Dopoguerra e ridusse davvero le distanze tra le due Italie. Di fatto succederà che lo Stato centralizza con una governance unitaria  metà Paese dimostrando la capacità non di impegnare ma di erogare l’80% di tutto il monte di risorse europee reso flessibile e trasferire in modo effettivo al suo Mezzogiorno 30 miliardi che parificano finalmente la situazione dei diritti nei servizi pubblici come nella scuola e tutto il resto negli investimenti per il grande hub energetico dell’Europa che ha la sua capitale nello stesso Mezzogiorno.

Si tratta di attuare uno sforzo straordinario per portare tutto il Paese allo stesso livello e sarà imprescindibile potere contare su una struttura tecnica capace di fare venire fuori tutti i problemi reali delle strutture amministrative sia dei ministeri che dei territori e soprattutto di risolverli. Perché qualunque battaglia vinta in Europa non servirà a niente se l’Italia non farà i conti con il suo problema dei problemi che è l’incapacità di spendere e il Mezzogiorno con la febbre altissima di questa sua specifica malattia. Per gestire una dimensione di problemi così complessa serve un grande patto nazionale altrimenti tutto morirà dentro un nuovo eterno conflitto Stato-Regioni che si cumulerà ai vizi altrettanto strutturali delle macchine amministrative territoriali e ministeriali. Siamo arrivati al dunque perché non dobbiamo più sistemare le carte da portare in Europa ma aprire i cantieri e fare le cose in Italia per avere i soldi dell’Europa. Nessuno si tiri indietro e svenda il futuro del Paese per qualche minuscola ipotetica rendita politica. Non possiamo permettercelo.


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