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ISOLA CAPO RIZZUTO (KR) – «Non solo il contenuto delle conversazioni captate è equivoco». Ma «neppure le prove dichiarative assunte in dibattimento sono tali da suffragare l’assunto accusatorio».

Si conoscono le motivazioni della sentenza emessa il 22 settembre scorso dal Tribunale penale di Crotone, che assolse l’ex sindaca antimafia di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole e il marito Franco Pugliese da tutte le accuse loro contestate nel processo Insula, scaturito dall’inchiesta che, nel dicembre 2013, portò anche al loro arresto e suscitò clamore perché a una una paladina antimafia veniva attribuito di avere, in cambio dei voti della cosca Arena, predisposto un bando per la commercializzazione dei finocchi coltivati sui terreni confiscati al clan che, tramite prestanome, sarebbe tornato in possesso del prodotto da cui avrebbe ricavato un milione di euro.

Nei motivi, depositati ieri, della decisione del collegio presieduto da Edoardo D’Ambrosio (e composto, inoltre, da Francesca Familiari, giudice estensore, e Ersilia Palmieri) viene smontata l’impostazione accusatoria sostenuta in aula dal pm Antimafia Domenico Guarascio, che aveva chiesto sei anni a testa per marito e moglie.

CORRUZIONE ELETTORALE

Ma ecco perché l’ipotesi del voto di scambio è crollata, in accoglimento di buona parte dei rilievi difensivi. Dalle stesse testimonianze dei finanzieri è emerso che non sono mai stati rilevati «contatti diretti tra i coniugi Girasole-Pugliese ed esponenti della famiglia Arena».

Nelle intercettazioni erano gli altri imputati a fare riferimento ai due. I brani incriminati sono sostanzialmente tre. Quello del 24 ottobre 2010 in cui Massimo Arena parla con lo zio Carmine di servizi giornalistici sull’impegno antimafia della Girasole, e Massimo propone: «ma perché non ci uniamo e diciamo che glieli abbiamo dati i voti?».

Il 31 novembre dello stesso anno Massimo parla col padre Nicola, lo storico boss, e dal colloquio sembrerebbe che la raccolta dei voti sarebbe ascrivibile a Pasquale Arena (non imputato), funzionario del Comune di Isola. Inoltre, Massimo afferma che una donna è in possesso di un documento che avrebbe potuto far “cadere” la Girasole. Il 27 ottobre 2010, infine, Pasquale Arena, imputato e figlio di Nicola, parla di una raccolta di voti in favore però di un politico uomo (sull’errore di trascrizione già ammesso dagli stessi inquirenti ci siamo soffermati a suo tempo). Sono conversazioni, per i giudici, da cui «non emergono elementi indiziari dotati di caratteri di precisione e concordanza».

Sul ruolo del funzionario Arena, autosospeso da incarichi dirigenziali in seguito al suo coinvolgimento in indagini antimafia, i giudici si soffermano a lungo rilevando che «non figura tra gli imputati e, considerata la freddezza di rapporti con questi ultimi, è lecito escludere qualsivoglia impiego strumentale da parte del sindaco».

La lettera di Filomena Arena, indirizzata tra gli altri a don Ciotti e al Capo dello Stato? Lamentava «l’uso strumentale della lotta alla mafia da parte del sindaco che, sebbene si presentasse come paladina della legalità, si sarebbe recata, durante la campagna elettorale, a chiedere voti ad esponenti della propria famiglia (non agli imputati, dunque)».

Insomma, «assenza di qualsivoglia collegamento tra la Girasole e il marito e alcuno degli imputati avente a oggetto una trattativa di voti da scambiare contro altra utilità». I giudici fanno riferimento anche alla produzione della difesa Girasole (avvocati Marcello e Mario Bombardiere) relativa alla vittoria, nell’aprile 2008, della lista civica Girasole per 3360 contro 2927 voti, pari al 40 per cento contro il 35. Una vittoria che «a rigor di logica non può definirsi bulgara».

TURBATIVA D’ASTA

«Io penso una cosa, che se il sindaco poteva fare qualcosa la faceva». Nicola Arena dixit. Il riferimento è alla frase precedente all’indizione del bando per la commercializzazione del raccolto, in antitesi all’opzione della frangizollatura voluta dall’Ats Libera Terra, assegnataria dei terreni. Un cambio di orientamento costato all’ex sindaco l’accusa di turbativa d’asta.

Ma per i giudici quella frase è «una mera supposizione, una valutazione personale dell’imputato senza che possa ritenersi consequenziale ravvisare in detto pensiero, in assenza del sindaco nominato, un indizio sufficientemente grave».

Piuttosto, ci sono altri brani da cui emerge che il boss voleva far valere le proprie ragioni tramite le vie legali (un’ipotesi più volte sostenuta in aula dall’avvocato Tiziano Saporito) dato che «non si poteva fare affidamento – scrivono i giudici – su chi fino allora aveva fatto loro gli “strazzi”».

IL BLOG ANONIMO

Ce n’è anche per le attività del blog che sistematicamente avrebbe cercato di screditare l’operato della giunta ritenendo la scelta amministrativa della frangizollatura uno «schiaffo alla povertà».

Dal tenore dei colloqui captati emerge che il blog è riconducibile all’«iniziativa di Giovanni Stillitano, dipendente del Comune di Isola con il quale Massimo Arena intratteneva rapporti confidenziali».

Perché «attraverso questo blog si cercava di far forma al malumore, non si sa quanto realmente diffuso tra la popolazione, suscitato dalla possibilità che il Comune si determinasse a distruggere, attraverso operazioni di frangizollatura, le coltivazioni di finocchio insistenti sulle terre confiscate anziché convertirle in fonti di reddito per la popolazione».

Tanto più che lo stesso Stillitano si sarebbe rivolto alla Girasole con «appellativi spregevoli», ovvero «rappresentando al suo interlocutore – osserva il Tribunale – “sta zoccola vi sta pulizzando”: frase difficilmente comprensibile qualora vi fosse stato a monte un esplicito accordo del sindaco con gli Arena volto a soddisfare le loro pretese».

FINOCCHI E CONSIGLI

Il “consiglio” dato dalla Girasole agli Arena? Lo ha spiegato «in maniera logica e coerente» l’imputata già al gip, sostenendo che il suo era un invito a «rassegnarsi all’idea che i terreni sarebbero stati restituiti alla collettività mediante il percorso intrapreso dal Comune in sinergia con la Prefettura».

Le cassette di finocchi in regalo ai genitori dei coniugi Girasole Pugliese? «Nessun valido indizio può trarsi circa la sussistenza di un accordo illecito posto che, se così fosse stato, non si comprende perché i finocchi venissero portati alla madre della Girasole e non direttamente a quest’ultima o al marito».

DON CIOTTI

Buona parte viene riservata, nei motivi della decisione, alla testimonianza dei rappresentanti di Libera. E in particolare al fondatore dell’associazione contro le mafie, don Luigi Ciotti, che ha ricordato il «clima ostile» alla Girasole, «ai limiti della diffamazione, esercitata da siti Internet che attaccavano sistematicamente il Comune per la scelta di collaborare con Libera».

Tant’è che la Girasole gli chiese di informare l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani. Sul cambio di orientamento circa la frangizollatura il sacerdote ha detto di non aver «capito nulla» precisando che «Libera avrebbe preferito che si procedesse alla frangizollatura ma, ciònostante, nel rispetto della decisione dell’amministrazione comunale, aveva offerto collaborazione al sindaco per la redazione del bando».

L’ESAME DELL’IMPUTATA

Ampio il capitolo sull’esame fiume dell’imputata chiave che in aula ha elencato «una serie di delibere e atti concreti finalizzati a sradicare situazioni di forte illegalità di stampo mafioso», con particolare riferimento anche alla demolizione simbolo di un manufatto abusivo sul demanio riconducibile a «un soggetto legato ad una cosca».

Il rapporto di affinità con Franco Arena, nipote del boss e marito della sorella del marito del sindaco, peraltro non le impedì di assumere «decisioni contrarie agli interessi del cognato in ragione delle quali i rapporti familiari col medesimo si erano compromessi».

VALUTAZIONI COMPLESSIVE

L’analisi di fondo è che le perplessità espresse dalla Girasole circa la frangizollatura hanno motivazioni «politiche», come da lei riferito in aula, in relazione alla «mancanza di consenso nella popolazione» e al «mancato sostegno della stessa giunta comunale».

Nessun accordo, dunque, volto a favorire la permanenza dei precedenti proprietari sui terreni, tanto più che «non vi sarebbe stato bisogno di fare alcunche per consentire alla cooperativa San Giovanni dei fratelli Arena (che avanzava istanze giuridicamente argomentate) di continuare a coltivare a tempo indeterminato i beni confiscati».

Invece, «così non è stato» perché «il Comune rappresentato dall’imputata Girasole non è rimasto con le mani in mano ad attendere l’apertura di un tavolo tecnico entro cui incalanare la discussione circa le modalità dello spossessamento», ma, il giorno dopo quello della sospensione della frangizollatura trasferì i beni all’Ats «offrendo una concreta e seria possibilità a quest’ultima di trattenerli e mandare in frantumi l’ipotizzato accordo collusivo con la famiglia Arena».

«Ragionevole» il Tribunale ritiene anche l’argomentazione, valsa l’assoluzione dell’ex assessore all’Agricoltura Domenico Battigaglia e del funzionario Antonio Calabretta, sulla fissazione del prezzo di aggiudicazione, ritenuto sottostimato dall’accusa, che aveva il «solo fine di favorire quanto più possibile la partecipazione delel aziende agricole presenti sul territorio dal quale era pervenuto forte scontento per la frangizollatura».

ASSOCIAZIONE MAFIOSA E ALTRO

L’associazione mafiosa, invece, è crollata perché, tra l’altro, dalla «costante presenza» del figlio Massimo al fianco del padre (entrambi già condannati per il reato di cui all’articolo 416 bis del codice penale) e dalla frequentazione di pregiudicati non può essere «integrata ex novo» la fattispecie contestata in assenza di nuovi elementi.

In particolare, l’ipotesi di voto di scambio non ha retto neanche a carico dei figli del boss Nicola Arena, Massimo e Pasquale. Reggono, per il momento, le accuse di turbativa, per cui il boss, il figlio Massimo e i presunti prestanome Antonio De Meco e Antonio Guarino sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno. Scagionati dalle contestazioni di turbativa e abuso d’ufficio, tra gli altri, anche il funzionario comunale Antonio Calabretta e l’ex assesore all’Agricoltura Domenico Battigaglia.

Non regge, dicevamo, neanche l’associazione mafiosa di cui dovevano rispondere i tre Arena e l’imputato Francesco Ponissa, quest’ultimo condannato a 4 anni per un episodio di estorsione (e assolto dall’accusa di usura).

Sono state accolte anche buona parte delle tesi degli altri difensori, tra i quali gli avvocati Gianni Russano, Mario Prato, Piero Chiodo, Enzo Vrenna, Saverio Loiero, Luigi Villirilli, Domenico Sirianni, Saverio Loiero.

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