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Giorgia Meloni

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Due incognite per Giorgia Meloni: autonomia differenziata e Mes. L’equazione non è di facile soluzione. È  vero che mercoledì sera c’è stato  un incontro che sembrerebbe aver definito il percorso tecnico e politico per arrivare «in una delle prossime sedute del Consiglio dei ministri all’approvazione preliminare del disegno di legge sull’autonomia differenziata». È altrettanto vero, però, che i meloniani definiscono il vertice di 24 ore fa «un contentino». «Il cammino è ancora lungo» sospirano gli azzurri di Berlusconi. Quasi a voler lasciare intendere che nulla è deciso.

Eppure la Lega preme, vuole “vedere cammello”. Tradotto, desidera che si dia il via libera prima delle elezioni regionali in Lombardia. «Non è che facciamo la riforma prima o dopo le Regionali. Prima si fa, meglio è, per l’Italia, non per noi.

IL MATCH SULL’AUTONOMIA

L’obiettivo è di vincere le Regionali a prescindere» osserva piccato Matteo Salvini. Il vicepremier leghista  ha voluto l’incontro con la premier Meloni, il vice Tajani e i ministri competenti e l’ha ottenuto. Per uno solo scopo: velocizzare l’iter dell’autonomia differenziata in modo da poter sventolare la bandiera dell’autonomia differenziata in campagna elettorale. Anche perché in Lombardia il Carroccio si gioca la faccia.

Ma quanto c’è di vero nell’esultanza del leader leghista? Di sicuro Calderoli continuerà a lavorare ai fianchi della premier, farà in modo che il testo arrivi il prima possibile in Consiglio dei ministri. Ragion per cui in Transatlantico il ministro agli Affari regionali se la prende con chi ostacola la riforma: «Bisogna prima leggere un testo, poi commentarlo. Non fare i commenti senza averlo letto o, peggio ancora, senza averlo capito».

Meloni è consapevole che l’autonomia differenziata è un’incognita per l’Esecutivo. Non a caso l’inquilina di Palazzo Chigi ha chiesto espressamente di smussare alcuni passaggi della bozza del testo presentata il 29 dicembre, di porre al centro il ruolo del Parlamento. Senza dimenticare l’attuazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione, non con un Dpcm, come vorrebbe Calderoli, ma con un disegno di legge. Dopodiché Meloni desidera far chiarezza sul fondo di perequazione e sul coinvolgimento delle Regioni.

Insomma, la premier confida negli step successivi. Perché il testo, una volta approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, dovrà essere vagliato dalla Conferenza Stato-Regioni, tornare  nuovamente in Cdm, e poi essere esaminato dal Parlamento.

Ed è a Montecitorio e a Palazzo Madama che si annidano i frenatori dell’autonomia differenziata. Sarà in quel consesso che si potrebbero scatenare i parlamentari di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. Raccontano che qualche giorno fa Tajani abbia incontrato i governatori azzurri, tutti assai scettici sulla riforma dell’autonomia.

«In questa fase – ha promesso Tajani – dobbiamo esaudire il desiderio dei leghisti, ma state tranquilli che poi la riforma deve comunque passare dalle Camere…». Puntini di sospensione che prefigurano un esito non scontato del dossier.

I MALUMORI SUL MES

E poi c’è il Mes, che sta per Meccanismo europeo di stabilità, il vecchio Fondo salva Stati. Meloni non avrebbe mai voluto ratificarlo. Lo aveva detto e ridetto in campagna elettorale. Salvo oggi cambiare idea. Perché non può mettersi di inimicarsi in un sol colpo Commissione europea, Consiglio d’Europa e Banca centrale.

I leghisti sono però sul piede di guerra. «Non voterò mai la ratifica» assicura l’euroscettico Claudio Borghi. E filtra che anche Salvini sia parecchio infastidito dalla giravolta della premier. Dall’altra parte gli azzurri di Forza Italia, che non sono mai stati contrari, teorizzano che l’unica strada sia la ratifica. Il vicepremier Tajani  ammette che alla fine «si andrà in una direzione positiva perché non possiamo bloccare gli altri. Poi bisogna vedere come formulare, cosa cambiare, cosa funziona, cosa non funziona e soprattutto se l’Italia lo utilizzerà».

L’OPPOSIZIONE RINFACCIA

Insomma, è tutto deciso. Non è un mistero che Giancarlo Giorgetti abbia inviato segnali distensivi nel corso dell’ultimo Eurogruppo. Eppure non sarà facile per Meloni convincere i colleghi di Fratelli d’Italia, un partito da sempre scettico sul Mes. «Abbiamo già detto – lamenta il meloniano Giovanni Donzelli – che non lo utilizzeremo. Chi lo ha ratificato, non lo sta utilizzando. Forse è utile modificarlo per far sì che chi lo ratifica ne veda utilità nell’accesso. Non è una battaglia ideologica di bandierine. Ora come ora è vincolante e non porta utilità».

In più Meloni se la dovrà vedere con un’opposizione che la prende di mira per la retromarcia. «La Meloni alla guida del Paese ha bisogno di un enorme specchietto retrovisore, con tutte le retromarce che sta facendo rispetto alle promesse elettorali e alle posizioni populiste di quando era all’opposizione» attaccano i  parlamentari del M5s delle commissioni politiche dell’Unione europea di Camera e Senato.  Sulla stessa scia Benedetto Della Vedova di +-Europa: «È evidente l’imbarazzo con cui la destra al governo sta cercando di giustificare e minimizzare il clamoroso dietrofront sulla ratifica del Mes».


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