Un parco eolico
5 minuti per la letturaL’ordine sarebbe partito dall’ormai ex superlatitante Matteo Messina Denaro, nel 2015. Cosa nostra e ‘ndrangheta dovevano «lavorare assieme per diventare un’unica famiglia». Parola di Ignazio Zito, collaboratore di giustizia che ha fatto parte di Cosa nostra, le cui dichiarazioni sono state valorizzate nelle motivazioni, depositate nelle settimane scorse, della maxi sentenza emessa dal Tribunale penale di Asti che ha inflitto una raffica di condanne a conclusione del processo di primo grado scaturito dall’inchiesta della Dda di Torino che nel marzo 2019 portò all’operazione Carminius, condotta contro il “locale” di ‘ndrangheta di Carmagnola, capeggiato dalla famiglia Arone e ritenuto proiezione criminale del clan vibonese dei Bonavota.
In virtù di questa alleanza criminale Messina Denaro potrebbe essere stato in Calabria, nei suoi trent’anni di latitanza ma, soprattutto, potrebbe aver fatto affari con la ‘ndrangheta, come dicono i pentiti. Il turismo e l’eolico sono due settori su cui lucrano la mafia in Sicilia e la ‘ndrangheta in Calabria. Spunti in tal senso sono emersi da numerose indagini. Le galline dalle uova d’oro sarebbero state Vito Nicastri per l’eolico e Carmelo Patti per il turismo, imprenditori prestanome di Messina Denaro.
E anche attraverso loro l’ombra pesante, a dispetto del suo soprannome, “Siccu”, dell’ultimo capo dei capi si è allungata sulla Calabria. Trame riconducibili alle sue mire sulla regione in cui, secondo approfondimenti investigativi in corso, si sarebbe nascosto durante la sua lunga irreperibilità, emergono grazie anche alle sinergie tra ‘ndrangheta, cosa nostra e massoneria; sinergie criminali che passano attraverso gli affari. Abbiamo già segnalato che l’ex cognato del boss, Giovanni Alagna, e l’imprenditore Patti, l’ex patron della Valtur ormai deceduto e compaesano di Messina Denaro da Castelvetrano, secondo il pentito Marcello Fondacaro, ex medico ed ex ‘ndranghetista di Gioia Tauro, dovevano partecipare alla realizzazione di un villaggio turistico a a Capo Vaticano che prevedeva appunto la partecipazione al 33% delle due organizzazioni criminali.
Ma le mire si sarebbero allungate anche sul Crotonese e l’input sarebbe venuto dal boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, che si sarebbe rivolto a Patti. Per il tramite dell’avvocato Giancarlo Pittelli, presunta figura cerniera tra ‘ndrangheta e massoneria al centro del maxi processo Rinascita. La versione aggiornata di Fondacaro sui tentacoli di Messina Denaro in Calabria la si ricava da una nuova informativa dei carabinieri del Ros depositata dalla Dda di Catanzaro nel processo Rinascita sulla presunta funzione svolta dal legale quale «mezzo di unione tra il mondo criminale e quello civile e imprenditoriale per il tramite dell’appartenenza massonica» nonché quale raccordo nel «garantire le comunicazioni» tra i Mancuso di Limbadi e i Grande Aracri di Cutro, anche per un investimento nel Lametino, e ciò grazie ai canali massonici sfruttati da Pittelli che avrebbe avuto rapporti di “fratellanza” con personaggi chiave dell’apparato pubblico.
La fonte di Fondacaro sarebbe stato Francesco Grande Aracri, il boss di Brescello, fratello di Nicolino, durante un periodo di codetenzione nel carcere di San Gimignano, ed il pentito rivela che entrambi facevano parte della massoneria. Pittelli, «in collaborazione» con l’avvocato Domenico Grande Aracri, altro fratello del boss di Cutro, sempre secondo il pentito, «aveva il compito di curare macro iniziative imprenditoriali nell’area del Crotonese (costruzione di un villaggio turistico, allestimento di un parco eolico, lavori legati all’aeroporto)». Progetti che sarebbero stati replicati nel Vibonese. Ecco perché Francesco Grande Aracri aveva chiesto a Fondacaro di mettere a disposizione suoi terreni a Capo Vaticano per realizzare una struttura alberghiera.
Ma i tentacoli si erano allungati molto tempo prima. Nel ’97 Patti acquistò la Valtur, rilanciando il gruppo dei villaggi vacanze, che divenne uno dei primi in Italia. Nel 2000 iniziarono i guai giudiziari, quando venne indagato per mafia dalla Dda di Palermo. Si dimise per questo dalla Gesap, la società che gestisce l’aeroporto palermitano dov’era stato proposto dall’allora sindaco Leoluca Orlando. L’accusa era quella di rapporti con i Messina Denaro, i boss di Castelvetrano. L’inchiesta e il sequestro di cinque miliardi portarono all’amministrazione giudiziaria e alla crisi della Valtur, al fallimento e alla vendita del marchio. Nell’impero sequestrato cera anche il villaggio Valtur di Isola Capo Rizzuto controllato dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, il cui capo, Nicola Arena, boss di recente scomparso, era al vertice di un clan il cui metodo fu definito mafioso ancor prima degli anni ’90, quando la fattispecie di reato prevista dall’articolo 416 bis del codice penale non era stata ancora introdotta dal legislatore.
Era il lontano 9 gennaio 1975 quando così sentenziava il Tribunale di Crotone. Già all’epoca gli Arena imponevano la “protezione” al villaggio turistico Valtur, facendosi assumere quali guardiani e infliggendo un clima di terrore. Sulle sinergie tra Cosa nostra e ‘ndrangheta sono già stati scritti fiumi d’inchiostro dai più autorevoli osservatori del fenomeno mafioso, e molti elementi d’indagine sono confluiti in atti giudiziari. Il rapporto fra Patti e la cosca mafiosa di Castelvetrano nel settore turistico è stato più volte esplorato dagli inquirenti e dimostrato.
Ma gli affari erano anche nel campo delle energie alternative, come emergerebbe dall’inchiesta della Dia di Trapani, coordinata dalla Dda di Palermo, che portò all’arresto dell’ex deputato Paolo Arata, dell’imprenditore Nicastri e dei loro due figli. In particolare, quel Vito Nicastri, che rispunta anche nel caso Siri, il “signore del vento” ritenuto un prestanome di Messina Denaro nello sviluppare iniziative imprenditoriali in Calabria, sarebbe entrato in contatto con «esponenti della ‘ndrangheta della fascia ionica della provincia reggina – Platì, Africo e San Luca – organici alle locali “ndrine”, attraverso una società allo stesso riconducibile, la “Seneca 1 Srl”», scrivono gli inquirenti. L’azienda aveva stipulato nel 2010 vari atti di acquisto di diritti di superfìcie con esponenti delle famiglie dei pregiudicati Giuseppe Barbaro di Plati, di Sebastiano Mammoliti, di Domenico e Francesco Nirta di San Luca ed altri. L’amministratore unico della società? Ida Anna Maruca, di Lamezia Terme, sposata in seconde nozze.
Nicastri è stato coinvolto in plurime vicende giudiziarie che attestano il suo contributo agli scopi criminali di Cosa nostra, non solo nel settore eolico ma in quello immobiliare e turistico, e la Calabria rispunta nella ricostruzione della sua ascesa imprenditoriale. Del resto, se le società di Nicastri erano impegnate nello sviluppo di ambiziosi progetti di parchi eolici in tutta la Sicilia, fino allo Stretto, con riferimento alla partnership con l’imprenditore messinese Mario Giovanni Scinardi, ritenuto espressione imprenditoriale della famiglia mafiosa di Mistretta, capeggiata da Sebastiano Rampulla, con il capo cosca catanese Vincenzo Maria Aiello, affiliato al clan Santapaola Ercolano, da qui a penetrare nella vicina Calabria il passo sarebbe stato breve.
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