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Giorgia Meloni

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Condividiamo l’insistenza con cui la premier Meloni pone al centro della nuova politica estera il ruolo strategico del Mediterraneo e del nostro Sud come porta di accesso per l’Europa e per l’Italia. È importante il rapporto tra noi e i Paesi della sponda europea del Mediterraneo per avviare un processo che può avere in Porto Empedocle e in Gioia Tauro due capitali. Il tema delle materie prime energetiche e delle terre rare per l’economia del futuro offre un’occasione storica all’Europa di riprendersi quegli spazi in Africa che ha abbandonato lasciando che il vuoto venisse riempito da Cina e Russia. La partita del Mediterraneo e dell’Africa si vince, però, confrontandosi e misurandosi con Francia e Germania nella cabina più alta di comando dell’Europa dove la credibilità ritrovata con Draghi e il peso politico di una donna premier che mostra carattere e capacità possono fare davvero la storia. Non sprechiamo tutto sull’altare di qualche relitto ideologico

Il governo Meloni ha un orizzonte di cinque anni. Per durare e cambiare il Paese ha un assoluto bisogno di allargare il suo consenso. Ha bisogno di dotarsi di un metodo che consenta non solo di seguire l’agenda scadenzata di impegni che si è assunta, ma anche di riempirla di contenuti, di cose avvenute. Ha bisogno che le strutture portanti del Paese giochino in squadra con lei. Ha bisogno che almeno una parte delle opposizioni collaborino attivamente per mettere in sicurezza il loro Paese.

La legge di bilancio che non scassa i conti e evita l’esercizio provvisorio fa parte di quella agenda di contenuti che serve. Il rispetto dei 55 obiettivi del Pnrr tutti conseguiti fa parte di quella stessa agenda che tiene in vita la scommessa di governo della nuova Destra. Sorprende come non si rivendichino le riforme liberalizzatrici approvate che molti ritenevano politicamente ostiche rispetto alla base elettorale della nuova Destra. Non è stato così. Il processo riformatore compiuto avviato dal governo Draghi prosegue. Il racconto che la premier ha fatto nella sua conferenza stampa di fine anno di un’Italia stimata e corteggiata nel mondo e sempre screditata in casa coglie il cuore della malattia del dibattito pubblico italiano.

Quello che ha permesso di nascondere addirittura il secondo grande miracolo economico italiano che vale oltre dieci punti di Pil di crescita in due anni, mezzo milione di occupati stabili in più, riduzione di diseguaglianza e rischio di povertà, un boom delle esportazioni che umilia le performance di grandi economie europee come quelle francese e tedesca. Le parole usate dalla Meloni nei confronti di chi la ha preceduta di ammirazione per una persona di grande autorevolezza internazionale e di stimolo per lei segna un ulteriore salto di maturità da parte di un leader politico che è la prima premier donna della storia italiana ma che candidamente ammette di volere fare la storia.

C’è un punto sul quale, però, vogliamo insistere. Il consenso elettorale frutto di una indubbia abilità e di una leadership politica evidente non bastano a Giorgia Meloni per fare la storia. Bisogna che abbia piena consapevolezza che tra le parole dichiarate e le ambizioni realizzate c’è in mezzo da saltare il fossato della ritrovata capacità di fare investimenti in casa e del consolidamento del nostro posizionamento internazionale con una collocazione strategica che vede l’Italia al centro dell’Europa federale della solidarietà. Nessuno più di questo giornale può condividere e sottoscrivere l’insistenza con cui la premier Meloni pone al centro della nuova politica estera il ruolo strategico del Mediterraneo e chi scrive è pienamente consapevole di quanto la deglobalizzazione e il nuovo quadro geopolitico determinati dalla guerra di invasione di Putin in Ucraina giochino a favore del nostro Mezzogiorno come porta di accesso del Mediterraneo per l’Europa e per l’Italia.

Sappiamo bene che cosa questo voglia dire su quattro fronti delicatissimi che riguardano logistica energetica e industria del mare come capitale umano e grandi reti di trasporto materiale e immateriale. Proprio per queste ragioni deve, però, essere chiaro a tutti che se, come giustamente ripete Giorgia Meloni, vuole fare un’azione seria sull’Africa va prima rinsaldata e magari ricostruita anche su basi nuove un’alleanza strategica con la Francia a livello europeo. Perché non abbiamo spalle così larghe da poterci scontrare da soli con colossi autocratici come Russia e Cina e i loro giochi di sponda con un altro regime autocratico qual è quello turco. Bisogna mettere in piedi una equipe di strateghi che operi con le alleanze giuste sui fronti caldi aperti attraverso un programma di medio lungo termine da implementare mese dopo mese.

È certamente importante, sia chiaro, che la rotta del mediterraneo sia stata definita centrale per la prima volta in un documento della Unione Europea perché significa che l’asse di sviluppo Sud-Nord guadagna finalmente spazio rispetto allo storico asse Est-Ovest. È certamente importante, è quasi ovvio, il rapporto tra l’Italia e gli altri Paesi della sponda europea del Mediterraneo perché tutti insieme riaffermino il ruolo strategico per l’Europa intera della questione energetica che può avere in Porto Empedocle e in Gioia Tauro due nuovi grandi capitali.

È altresì importante il rapporto con Grecia, Malta, Cipro che la Meloni sta coltivando per la gestione dei flussi migratori esterni. Parliamoci, però, con molta chiarezza. Se si sono fatti passi in avanti sul tetto al prezzo del gas e sui temi altrettanto decisivi dell’autonomia e della sicurezza energetica questi si sono compiuti quando l’Italia ha svolto il suo ruolo di Paese Fondatore fianco a fianco con Francia e Germania.

Questa è l’unica grande politica estera che può nei fatti riconoscere per davvero all’Italia il ruolo di Paese europeo capofila nel Mediterraneo e di hub energetico strategico per l’intera Europa. Il nuovo tema strategico delle materie prime energetiche e delle terre rare per l’economia del futuro offre una grande opportunità all’Africa di svolgere un ruolo da primo attore e offre un’occasione storica all’Europa, grazie a un player geografico di eccezione come l’Italia, di riprendersi quegli spazi che aveva in modo miope abbandonato lasciando che il vuoto venisse riempito da Cina, Russia e Turchia.

L’Italia ha tutti i numeri e le potenzialità per fare da capofila dell’Europa. Perché è in una condizione privilegiata per l’approvvigionamento energetico con i gasdotti mediorientali tutti collegati o collegabili a noi. Per i rap – porti delle grandi reti elettriche con la Tunisia. Perché abbiamo una potenzialità di fotovoltaico del 20/30% superiore a quella del Nord Europa. Perché tutti i paesi africani sono impegnati a fare investimenti, la Mauritania con l’idrogeno verde altri nelle fonti rinnovabili, e tutti si fidano di noi. Perché il nuovo Mattei che è il capo dell’Eni Descalzi fu il primo a concepire South Stream e fu costretto alla resa dal disegno egemonico affaristico industriale che ha saldato gli interessi di Germania e Russia intorno a Nord Stream 1 e 2 lasciando una porta di servizio aperta per la francese Total e non per l’italiana Eni.

Perché siamo noi, non altri, ad avere complessivamente i migliori rapporti con i Paesi del Nord Africa che ci hanno consentito di diversificare al massimo le fonti di approvvigionamento (il governo Draghi è stato il più veloce di tutti in Europa) e di fare dell’Italia la porta d’ingresso del Mediterraneo. Siamo davanti all’occasione storica per cambiare la faccia di diverse città del nostro Sud e di capitalizzare anche in Libia l’approccio non predatorio che ha avuto sempre l’Eni rispetto ai cugini francesi in qui territori coloniali.

Noi siamo andati sempre in Africa per lasciare qualcosa, non per portare via qualcosa. Tutto questo fa crescere la domanda di Italia in Africa e ci assegna naturalmente il ruolo di capofila dell’Europa nel Mediterraneo. Tutto questo ci affida anche un ruolo cruciale per portare avanti la bandiera della stabilizzazione della situazione libica portando quel Paese nel minore tempo possibile alle elezioni e alla riscrittura della sua carta costituzionale. Tutte queste bellissime cose saranno possibili, però, se rimarremo saldamente piazzati lì dove la storia ci collocò quando nacque l’Europa e, cioè, a fianco di Francia e Germania alla testa del processo europeista.

Per lunghissimo tempo siamo stati scalzati da quel podio di testa perché l’Europa è stata saldamente nelle mani di un direttorio prima franco-tedesco poi tedesco-franco che non ci ha mai voluto tra i piedi. Mario Draghi era riuscito nel miracolo di rimetterci nel posto che ci spettava e aveva avuto anche il merito di apparire a molti nel mondo non come uno dei tre ma come il primo dei tre. Giorgia Meloni che ha dimostrato realismo e capacità effettive di governo in questi pochi mesi e che ha dichiarato di avere fatto una scelta di vita di misurarsi sempre con persone capaci e autorevoli, rifletta fino in fondo sui vantaggi che questa collocazione strategica sancita anche in nuovi trattati può garantire e quanto sia importante preservarla per tutelare l’interesse nazionale che a lei sta giustamente molto a cuore.

La partita del Mediterraneo e dell’Africa non si vince da soli e nemmeno con gli alleati poveri del Sud Europa. Si vince confrontandosi e misurandosi con francesi e tedeschi nella cabina più alta di comando dove la credibilità ritrovata con Draghi e il peso politico di una donna premier che ha mostrato carattere e capacità possono fare davvero la storia. Non sprechiamo tutto sull’altare di qualche relitto ideologico condannato dai fatti del nuovo mondo. Non ne vale proprio la pena.


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