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IL TEMA della classe media in Italia, affrontato assai efficacemente da “L’Unità” dello scorso 23 novembre con articoli e riflessioni di Enzo Risso, Domenico De Masi e Massimo Franchi, è un tema cruciale dal quale dipende il futuro della politica e della stessa tenuta formale e sostanziale della democrazia. Come scrive Franchi, “In Italia, se nel 2002 il 70% delle persone si autodefinivano ceto medio, ora sono solo il 42%, sebbene in aumento del 3% rispetto al 2014”.

Ma perché è importante che in un Paese democratico ci sia una classe media forte, diffusa e stabile? La risposta è semplice: perché il ceto medio è storicamente “ragionevole”, e la democrazia, la convivenza civile, la crescita culturale e le stesse istituzioni si reggono proprio grazie a questa saggia “ragionevolezza”. Fateci caso: più si erode il ceto medio e più cresce il rancore sociale, l’astensionismo, la rozzezza culturale, l’antipolitica, l’odio per le classi dirigenti e per la stessa democrazia. Si faccia caso anche a un’altra cosa: gli spazi politici storicamente “di centro” sono spolpati e svuotati proprio da questa crescente estremizzazione dell’offerta (e della domanda) politica.

Ma cosa significa essere “ragionevoli”?

Significa comprendere e rispettare fino in fondo le leggi della libertà e della democrazia: fidarsi delle classi dirigenti, saper mediare e giungere a compromessi, impegnarsi per migliorare le cose nel proprio ambito specifico, ascoltare le ragioni degli altri, studiare umilmente i fatti, conoscere il valore della pazienza e e della tolleranza, tutelare in ogni modo le istituzioni democratiche e culturali che ci rappresentano e provare a vedere gli aspetti positivi anche quando ci sono delle cose che non vanno. Solitamente sono “ragionevoli” e ottimisti della volontà quanti – e in Italia sono sempre di meno – hanno qualcosa da perdere: il lavoro, i sacrifici fatti, il futuro dei figli, il proprio progetto di vita, l’amore per l’armonia sociale e la crescita culturale e civile, la consapevolezza di vivere in un Paese democratico, libero e “benestante”. Stanno crescendo però anche quanti – e sono sempre di più – in apparenza non hanno più niente da perdere, e si abbandonano con feroce voluttà al nichilismo, alla regola suicida del “tanto peggio tanto meglio”, all’arte di segare il ramo sul quale si è seduti (anche se è difficile che una persona seria, che viva pienamente e generosamente la propria vita sociale, non abbia mai davvero qualcosa da perdere).

Dunque c’è un problema, in Italia: con l’assottigliarsi della classe media il quadro politico tende a estremizzarsi, e a soffrirne sono le istituzioni democratiche e chiunque le rappresenti (è molto grave che le classi dirigenti italiane a ogni livello vengano ormai rappresentate, in specie sul web, come una banda di malfattori). Non ci si fida più di nessuno, infatti; ma se non ci si fida più di nessuno, se non di chi promette distruzione e punizione, significa che si è pronti a smantellare lo Stato democratico e l’ancora alta qualità socio-culturale del nostro Paese. E contro questa tentazione nichilista tutte le forze democratiche dovranno lottare nei prossimi anni senza sosta.

C’è però un aspetto nuovo che vorremmo sottolineare, e che è il punto focale di questa riflessione: il ceto medio, se vogliamo salvare la democrazia italiana, non può più essere legato, com’è stato finora, al censo, ovvero al reddito e alla sicurezza materiale. Cosa significa questo? Che non è necessario avere un posto fisso, una casa di proprietà, un regolare matrimonio e un conto in banca per sentirsi classe media. Classe media non significa per forza “italiano medio”. Se classe media è solo un fatto di censo, allora siamo fritti, perché più diventerà liquida, mobile e precaria l’economia e l’identità, e più il blocco sociale dominante sarà quello degli arrabbiati, dei distruttivi e dei frustrati – e di tutti quelli che odiano, criticano, invidiano, denunciano, recriminano, insultano, si lamentano, accusano sempre e solo gli altri, ecc. La verità è che si può e si deve essere classe media non per censo, ma per dovere politico, culturale, sociale ed etico. Non si può essere “ragionevoli” solo quando arriva un bonifico sicuro a fine mese o quando la tua vita sociale è soddisfacente e serena (perché ormai siamo quasi tutti precari, e lo saremo sempre di più). Bisogna essere ceto medio sempre, perché anzitutto si crede nei valori eterni della “ragionevolezza” e della costruttività delle posizioni, indipendentemente se si subisce un’ingiustizia o se si perde sicurezza economica (tanto per dire, non si può diventare grillini o leghisti perché si vedono frustrate le proprie aspirazioni lavorative o perché nel traffico qualcuno ci ha insultato o perché il condomino ci ha fatto un torto).

Essere ceto medio non deve più essere un privilegio, dunque, ma un dovere etico. A una condizione, si capisce: che la politica sappia considerare e includere come ceto medio non soltanto chi ha un posto fisso, una casa di proprietà, un regolare matrimonio e un conto in banca, ma chiunque ami le istituzioni democratiche, la convivenza civile, la crescita sociale, le ragioni degli altri, la crescita piena del nostro Paese, il confronto serio, pacato e tollerante tra idee, persone e interessi. Altrimenti il rischio è quello di tenere agganciata la tenuta democratica del nostro Paese a una minoranza che giorno dopo giorno si assottiglia. Ma se abbiamo a cuore la democrazia e la qualità della nostra libertà, allora si faccia di tutto per allargare e rifondare il concetto di ceto medio, utilizzando ogni strumento comunicativo ed educativo a nostra disposizione.

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