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Siamo un Paese che vive di instabilità. Questo è il vero problema. Perché quando il sistema si è stabilizzato tutti si riallineano sulla base della stabilizzazione. Perché solo a quel punto, non prima, lobby e corporazioni capiscono che non c’è più spazio per fare i furbi. La stabilizzazione politica italiana serve per affrontare il versante surriscaldato della politica e della economia internazionali. Questo deve capirlo fino in fondo Giorgia Meloni, ma devono capirlo anche i suoi compagni di viaggio e tutti gli altri perché solo un sistema stabilizzato favorisce l’alternativa. Se prevale una situazione sistemica di instabilità l’alternativa diviene impossibile perché qualunque alternativa genera un’altra alternativa e produce caos.

Non c’è più tempo di preparare il lancio, ma bisogna dimostrare che si è partiti. Per completare il processo riformatore avviato e mettere in piedi i grandi finanziamenti hai bisogno di un sistema di stabilità politica. Anche se nessuno lo dice, la verità è che siamo un Paese che si è organizzato per bande con una rete di lobby e di corporazioni che vive di instabilità politica. Anzi, di più, che lucra su questa situazione scivolosa che puoi fronteggiare non a parole, ma solo con la stabilità politica. Questo è il vero problema di questo Paese. Perché quando il sistema si è stabilizzato tutti si riallineano sulla base della stabilizzazione. Perché solo a quel punto, non prima, capiscono che non c’è più spazio per fare i furbi.

La stabilizzazione politica italiana serve per affrontare il versante surriscaldato della politica e della economia internazionali. Questo deve capirlo fino in fondo Giorgia Meloni, ma devono capirlo anche gli altri perché solo un sistema stabilizzato favorisce l’alternativa. Se le coordinate di un Paese sono fisse si montano le vele, ma c’è una direzione tracciata e tutti colgono il segnale. Se invece prevale una situazione sistemica di instabilità l’alternativa diviene impossibile perché qualunque alternativa genera un’altra alternativa e produce caos. Al netto del solito rumore italiano che accompagna da sempre il voto sulla legge di bilancio, si constata che il governo Meloni sta chiudendo questo passaggio meglio di quanto si potesse prevedere favorito come sempre dal vincolo esterno europeo che gli ha impedito di fare qualche cavolata in più sobbarcandosi i guasti prodotti dalle pressioni ideologico-elettorali di tipo fiscale esercitate dai suoi compagni di viaggio in crisi di consenso.

Anche la prima legge di bilancio del governo Meloni si è rivelata alla fine un’altra occasione importante per capire che Europa e mercati hanno apprezzato che sono state evitate le maggiori cadute sul terreno della lotta all’evasione fiscale e dell’accelerazione sui pagamenti digitali elettronici. Il vincolo esterno ha funzionato per evitare di fare errori, per togliere dal tavolo almeno per ora i condoni fiscali, ma non serve per fare partire i cantieri delle grandi reti, dei nuovi asili nido, accelerare sugli impegni assunti sull’alta velocità e attuare nei fatti riforme di struttura del calibro di concorrenza, giustizia, pubblica amministrazione. Non vogliamo nemmeno pensare che cosa può succedere se Fontana vincerà in Lombardia e Salvini vivrà questo risultato come una rivincita. Se invece di fare la persona seria e realizzare le riforme, si metterà in testa di cavalcare il tormentone dell’autonomia differenziata alla Calderoli che spaccherebbe per sempre il Paese oltre a essere impossibile nelle situazioni attuali di finanza pubblica.

Giorgia Meloni si avvia a doppiare la prima boa, che è quella della legge di stabilità, ma ne ha davvero tante altre da doppiare dovendosi tutte queste boe misurarsi con il tema più grosso che è quello internazionale. Perché la vera grande incognita che grava su tutto e tutti è come andrà a finire la guerra in Ucraina. Bisogna capire se Putin viene a miti consigli o prova la spallata. Perché se prova la spallata l’Ucraina da sola non ce la fa e se devono entrare in campo direttamente le altre forze passiamo dalla guerra a pezzetti alla guerra allargata che non risolve la crisi, ma la aggrava. Bisogna capire quanto è capace di tenere una persona messa all’angolo senza che si vedano i segnali di chi la mette fuori gioco. Né si capisce come Putin possa tirarsi fuori da quello di terribile che ha creato lui stesso con la sua follia.

Non è chiaro fino fondo se Zelensky, che ha tutte le ragioni del mondo e rappresenta la bandiera della democrazia dentro questo conflitto di civiltà con il mondo autocratico, vuole o meno una pace di compromesso. Se mai uno come Putin che ha già sulla coscienza più di 100 mila morti russi potrebbe accettare un compromesso che ridà alla Russia quello che già aveva. Il rischio Vietnam con gli americani che decisero di chiudere bombardando a tappeto il nord ma non arrivarono al risultato, è oggi reale nel cuore dell’Europa ed è legato al tasso di disperazione e di follia di Putin. Si arrivò allora al limite della guerra totale e da quel momento la guerra si impantanò. Alla fine si affermò il regime comunista del Vietnam del Nord e il solo fatto che oggi anche in termini di scenari si possa fare un accostamento con quella situazione, misura la delicatezza del momento internazionale che stiamo vivendo. Aggravato dalle conseguenze su scala globale a livello di materie prime e di inflazione.

Ecco perché l’Italia ha oggi bisogno vitale di un governo che esprima una forza endogena e che questa forza si percepisca in casa e fuori. Ecco perché se, come ha detto e non abbiamo motivo di dubitare, la cosa che più spaventa Giorgia Meloni è quella di deludere, allora è certo che non ha alternative a fare del suo governo il perno del sistema prima che si sfasci tutto. Non ha alternative a fare in modo che due partiti in dissolvimento siano messi sotto tutela per impedire che mettano in crisi la stabilità politica italiana. Salvini e Berlusconi devono capire che tutto il tempo che l’Italia poteva comprare è già stato comprato e che ora devono collaborare con lei perché si parta spediti sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza sia sul versante delle riforme sia su quello cruciale degli investimenti. Al Paese serve un governo che esprima una forza endogena per conseguire questi risultati. Serve anche all’opposizione, a tutte le opposizioni, che sulle macerie avrebbe poco da ricostruire quando verrà il suo turno.


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