Giorgia Meloni
6 minuti per la letturaGiorgia Meloni deve uscire in fretta da questa schiavitù mentale della cultura dell’emarginato che finalmente è stato ammesso al tavolo e che si comporta come quelli di prima sostituendo ai nomi degli altri i nomi suoi. È necessario un Progetto Paese che unisce invece di dividere, che sa dialogare con tutti – forze produttive, sociali, culturali – che dà e pretende rispetto, che entra dentro i problemi e li risolve con chi è capace di farlo indipendentemente dalle appartenenze politiche. Attuare in modo condiviso le riforme in Italia è il cuore della sfida europea nazionale e significa portare tutto il Paese pacificato a investire su se stesso uscendo da una specie di gioco infernale dove troppi si sono costruiti il loro nido di interessi e fanno di tutto per difenderlo
L’Italia ha bisogno di stabilizzarsi per mantenere il posto che merita in Europa. Purtroppo la situazione reale è che ciò non accade perché, da un lato, la maggioranza è troppo divisa e incerta e, dall’altro, perché l’opposizione, che è ugualmente decisiva, è altrettanto incerta. Di conseguenza chi governa oggi non sa mai cosa aspettarsi, con chi rapportarsi e come. Questo sul fronte internazionale complica le cose perché gli altri Paesi europei un po’ per interesse un po’ per cautela prendono le distanze. Mattarella sta facendo il massimo che può fare perché non è a capo di un sistema presidenziale, ma è un arbitro iper apprezzato e fa in modo che la macchina italiana non sbandi, tenga la strada, ma non può farla andare avanti lui perché non è nei suoi poteri. Ci sono temi molto delicati che sono tutti insieme sul tavolo e vanno affrontati dimostrando visione e pragmatismo.
L’adesione al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è un appuntamento non più eludibile, dopo il sì della Germania siamo rimasti gli unici a non averla votata, e ci servirebbe come il pane per finanziare gli investimenti che dobbiamo assolutamente fare nella sanità. Il rapporto con la Francia è strategico per le battaglie europee del gas e del nuovo patto di stabilità e di crescita, ma è stato messo in difficoltà per una bandierina solo ideologica su una questione molto seria come è quella dei migranti.
Questo rapporto va ricostruito con urgenza assoluta, ci sarà tempo dopo per litigare su altro. Infine, c’è il tema dell’Olanda e dei Paesi del Nord, Germania in testa, che hanno le loro colpe di cui devono rendere conto per il micidiale energy mix inflazionistico che hanno imposto all’Europa intera, ma che hanno come priorità assoluta non aumentare il debito europeo comune perché sono terrorizzati dall’idea di vedere compromesse le loro finanze pubbliche dalle spese allegre delle solite cicale del Sud Europa, a partire da quelle italiane. Saremo osservati molto speciali sulla capacità di attuare il processo riformatore compiuto avviato con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e sulla capacità di tornare ad essere dopo decenni un Paese capace di fare spesa pubblica produttiva nell’ordine di 40/50 miliardi l’anno.
Il combinato disposto di riforme di struttura che aumentano la competitività – pubblica amministrazione, giustizia, concorrenza, un fisco più equo e digitalizzazione ultra veloce – e di un flusso costante di investimenti pubblici effettivi che alimentano a loro volta quelli privati, può valere quasi dieci punti di Pil e rendere sostenibile il nostro debito pubblico anche in un quadro globale avverso tra post pandemia, guerra nel cuore dell’Europa e segnali di recessione globale. L’economia italiana sta mostrando elementi di resilienza più forti delle altre grandi economie europee. Al netto delle solite pressioni organizzate di carattere lobbistico, chiede solo di essere confortata nel tasso di fiducia. Vuole percepire che il cammino intrapreso prosegue con convinzione.
Ora, pur avendo molto chiari gli scogli politico- ideologici da superare in sede europea che non vanno ingigantiti, non si può dire che è a rischio un governo fatto in pochi giorni e che ha varato in un mese una legge di bilancio complicata in modo da non mettere in pericolo i conti pubblici e avere l’apprezzamento dei mercati. C’è, però, ancora un salto vero nella rivendicazione pubblica di scelte europeiste convinte che deve dimostrare di compiere la prima donna premier italiana se vuole davvero fare la storia attuando un conservatorismo moderno e ricalcando, in uno scenario storico differente, il precedente riformatore e innovatore di Margaret Thatcher.
Non saranno più possibili ammiccamenti su piccole cose ideologiche che non tutelano il consenso in casa e fanno danni di reputazione enormi fuori casa. In Europa siamo arrivati al dunque per fare scelte obbligate e muoverci nel solco di alleanze altrettanto obbligate, ma la forza politica europea che esprimerà la nostra presidente del Consiglio verrà da quello che saprà fare dentro il suo Paese tenendo a bada le pulsioni disgregatrici presenti e cambiandolo giorno dopo giorno in profondità. Giorgia Meloni deve uscire in fretta da questa schiavitù mentale della cultura dell’emarginato che finalmente è stato ammesso al tavolo e che si comporta come quelli di prima sostituendo ai nomi degli altri i nomi suoi.
La percezione che l’Europa e il mondo avranno di lei e dell’Italia non dipenderà da questi atteggiamenti anche perché sarebbe inevitabile il confronto con un predecessore molto anomalo che gode di una leadership globale indiscussa legata al ruolo di salvatore dell’euro e di architetto politico della nuova Europa e della nuova Italia. No, assolutamente no. La sfida di Giorgia Meloni è quella di un governo politico pienamente legittimato dal voto popolare che trasferisce in casa e in Europa la ferma determinazione di principi e la capacità attuativa per realizzare compiutamente un Progetto Paese che unisce invece di dividere, che sa dialogare con tutti – forze produttive, sociali, culturali – che dà e pretende rispetto, che entra dentro i problemi e li risolve con chi è capace di farlo indipendentemente dalle appartenenze politiche.
Attuare in modo condiviso le riforme in Italia è il cuore della sfida europea nazionale e significa portare tutto il Paese pacificato a investire su se stesso uscendo da una specie di gioco infernale dove troppi si sono costruiti il loro nido di interessi e fanno di tutto per difenderlo. Perché se non fa così quelli che si sono fatti il nido se lo portano con loro dal centrosinistra al centrodestra e in questo Paese non cambia nulla. Il concetto forte dell’Europa che dobbiamo tenere sempre bene a mente è che non siamo pieni di amici, ma che per avere amici veri e costruirne di nuovi bisogna prima essere solidi all’interno proprio in chiave di politica europea.
Che è oggi terrorizzata che gli sfugga di mano tutto, che teme che la situazione italiana non tenga. Bisogna togliere dalle teste di chi guida i Paesi del Nord Europa che stanno investendo in un’Italia che fra un po’ va allo scatafascio e fa saltare tutti. Viceversa se dimostriamo di credere in noi stessi e attuiamo questa governance unica di riforme e investimenti ogni perplessità sparirà e l’Italia avrà il rango e il seguito che merita come Paese Fondatore della Nuova Europa. Questa, non altre, è la sfida capitale di Giorgia Meloni e tutto il Paese si deve solo augurare che la vinca. Perché l’alternativa porta macerie per tutti e rialzarsi dopo sarebbe impossibile.
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