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PAOLA (CS) – Hanno ancora paura. I testimoni sul delitto di Roberta Lanzino, che, dopo 27 anni, continua a rimanere avvolto dal mistero. La procura della Repubblica di Paola ha riaperto il caso dopo la sorprendente scoperta dei Ris di Messina, che con i mezzi più sofisticati e moderni di oggi, sono riusciti laddove in precedenza s’era fallito.

LA NUOVA INCHIESTA E I DEPISTAGGI

Vale a dire la scoperta del dna del presunta assassino della giovane cosentina, violentata e uccisa nell’estate del 1988 in una zona impervia del Comune di Falconara Albanese. Il nuovo elemento definito la “prova scientifica” oltre a determinare l’avvio dell’inchiesta ter sul giallo, è stato decisivo pure per l’assoluzione dei due imputati del delitto, scagionati con sentenza pronunciata, nei mesi scorsi, dal tribunale di Cosenza. Con simile esito si era concluso, diversi anni fa, il primo processo sul caso: erano state accusate tre persone del posto, tutte assolte in via definitiva.

LA SENTENZA CHE HA ASSOLTO GLI IMPUTATI

«ABBIAMO ANCORA PAURA» – Quattro giorni fa, come già riferito dal Quotidiano, nell’ambito del nuovo fascicolo, sono stati convocati e ascoltati in procura due testimoni, che già più volte erano stati sentiti dai magistrati negli anni passati. Ma nonostante sia passato più di un quarto di secolo dal fatto, intatta e tangibile è stata la tensione di entrambe le persone convocate, prima, durante e dopo l’audizione, come se il brutale omicidio fosse avvenuto ieri. Ad uno dei due testimoni sarebbe addirittura scappata le frase: «abbiamo ancora paura».

La circostanza, chiaramente è stata notata e “annotata” dagli inquirenti, che nei prossimi giorni proseguiranno gli interrogatori dei testimoni emersi nei precedenti due procedimenti e dei ex sospettati del crimine. Le nuovi indagini, partendo dalla traccia di Dna – prima non impossesso degli investigatori – stanno prendendo una precisa direzione, anche in funzione delle assoluzioni dei fratelli Frangella, prima e di Franco Sansone e Luigi Carbone dopo, nel recente processo bis, tutte persone residenti in quella zona montana, fra Cosenza e Paola.

LA PISTA CHE PORTA A COSENZA – Direzione implicitamente, ma chiaramente suggerita nell’ultima sentenza dei giudici di Cosenza, che, come detto, hanno assolto Sansone e Carbone. Nelle motivazioni i giudici riprendono e valorizzano le ipotesi delle coperture istituzionali e dei depistaggi, finalizzati a sviare i sospetti dal vero colpevole. I due testimoni interrogati mercoledì scorso, hanno ancora una volta confermato di aver visto l’auto che, quel 26 luglio del 1988, seguiva il motorino guidato da Roberta. Era una Fiat 131 di colore azzurro ed al volante c’era un uomo con i capelli biondi. Quest’ultimo dettaglio è stato ribadito dai testimoni agli odierni pm di Paola, Sonia Nuzzo e Maria Camodeca, titolati dell’inchiesta ter.

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