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‘Ndrangheta, la doppia morale degli uomini d’onore: «Non si può andare a prostitute»
«GLI “uomini d’onore” non vanno a prostitute», regola numero uno se si vuol far parte della ‘ndrangheta. La doppia morale della mafia calabrese riemerge dalle carte dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta a Rho, quella che avrebbe fatto luce sulla riorganizzazione del clan Bandiera.
A ergersi a custode delle tradizioni, stando a una conversazione captata nell’autovettura Aveo a lui in uso, sarebbe stato Antonio Procopio, uno dei pezzi grossi della cosca, che chiacchierava con il coindagato Tiziano Mazza. A quanto pare, Procopio era particolarmente attratto da una prostituta notata mentre i due percorrevano una strada statale. Sul ciglio vi erano delle donne intente a prostituirsi, appunto.
Una zona che forse Procopio conosceva bene. «Questa è quella che mi piace… me la devo fare… devo venire qua». Ma c’era un “problemino”. Durante il tour in quel tratto frequentato da peripatetiche, infatti, Procopio, stando alla ricostruzione della Squadra Mobile di Milano, oltre a commentarne la bellezza lascia intendere che qualora si fosse avvicinato a una di quelle donne avrebbe rischiato addirittura di essere ucciso se lo avesse scoperto Cristian Leonardo Bandiera, il figlio del boss Gaetano.
In quanto “uomo d’onore”, Procopio, a suo dire, rispetta i dettami della sua “religione” che non prevedono la possibilità di congiungersi carnalmente con una prostituta. «Questa qua mi piace… solo che c’è Cristian… mi ammazza». «Ma perché, tu vai a puttane e ti ammazza?». «Non posso andare io…perché nella nostra religione non esiste… Io ho una religione… tu hai la tua… no… gli uomini d’onore non vanno a puttane… come cazzo te lo devo dire io».
Per “cristiano”, in questo caso, deve intendersi non una persona che crede in Cristo ma l’affiliato a una consorteria mafiosa che ha ricevuto il “battesimo” per poter entrare a fare parte a pieno titolo dell’organizzazione criminale. Alla specifica richiesta di Mazza sulla religione praticata da Procopio, questi risponde con un’affermazione chiara e di indubbia interpretazione: «quella dei “cristiani», così rimarcando la propria appartenenza alla ‘ndrangheta, e in particolare al “locale” di Rho.
E ancora: «ma te hai capito chi siamo noi? O forse non l’hai capito? Te pensi che hai a che fare con chi?». Il riferimento sarebbe all’”affidabilità” o “serietà” dell’organizzazione di ‘ndrangheta che si misurerebbe anche dal divieto per gli appartenenti di frequentare prostitute. E Mazza: «certamente io so con chi ho a che fare sennò non mi ci mettevo… però non sapevo che a puttane uno non poteva andare».
Le radici non si dimenticano mai, neanche al Nord. E Procopio era uno inserito a pieno titolo nell’organizzazione criminale che anche nelle zone di proiezione, lontano dalla casa madre, dai territori della genesi storica della ‘ndrangheta, ne replicherebbe il modus operandi, che impone la stretta osservanza di una più che mai presunta “morale”.
Non a caso l’inchiesta avrebbe consentito di documentare l’affiliazione di nuovi membri nel Milanese. Sarebbe stata accertata, stando a quanto riferito dagli indagati nelle intercettazioni, quella di Cristian Leonardo Bandiera, figlio di Gaetano del quale ha ereditato la posizione di vertice e la dote di “santa”, e per la quale pretenderebbe il dovuto rispetto, e di Antonio Procopio, colui che evitava di fermarsi in strada dinanzi alla prostituta pur essendone attratto, ritenuto l’azionista del clan e in possesso del grado di “picciotto” concessogli da Cesare Rossi, condannato per mafia quale partecipe del “locale” di Rho e figura carismatica nel consesso mafioso.
Era intestata fittiziamente proprio a Procopio un’abitazione all’interno della quale erano stati sequestrati, tra l’altro, due documenti contraffatti su cui erano state apposte le foto dell’allora irreperibile Francesco Nirta, all’epoca inserito nell’elenco dei dieci latitanti di massima pericolosità, esponente di spicco della famiglia Nirta-Strangio anche se non coinvolto direttamente nella strage di Duisburg. Ecco chi era Procopio, e forse per questo conosceva bene le “regole”.
Ma è tutto da verificare se tali prescrizioni siano state sempre rispettate da boss e gregari. Un esempio di “trasgressione” è emerso proprio di recente. Il boss di San Leonardo di Cutro Alfonso Mannolo, a quanto pare, si era appropriato di un immobile a Botricello per appartarsi in intimità con le sue amanti, tra cui qualche ragazza dell’Est a cui aveva trovato un posto di lavoro in un bar della zona. Per quattro anni, stando alle carte dell’inchiesta “Jonica”, avrebbe utilizzato gratuitamente lo stabile, ingenerando nel proprietario uno stato di “prostrazione”, come è detto nel capo d’accusa, per le continue vessazioni ed angherie subite, con tanto di minacce di morte se la vittima provava a chiedere un canone di locazione.
Proprio alcuni giorni prima che venisse fuori la vicenda, Mannolo aveva fatto dichiarazioni spontanee nel processo Malapianta, brandendo, durante il collegamento in videoconferenza con il Tribunale penale di Crotone (che l’avrebbe condannato a 30 anni), un’immagine del Crocifisso e annunciando che non avrebbe “tradito” mai Gesù Cristo. Ma è una religiosità soltanto esibita, quella dei boss. La loro è una morale doppia.
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