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VIBO VALENTIA – “Il fatto non costituisce reato”. Con questa formula il giudice Monocratico Gabriella Lupoli ha assolto dalle accuse della ripetuta violazione della sorveglianza speciale, Luigi Mancuso, boss dei boss dell’omonimo clan di Limbadi, attualmente irreperibile da quando, nel 2012, era tornato libero dopo 19 anni di reclusione, per fine pena.

Il magistrato ha, pertanto, accolto le richieste formulate dagli avvocati Francesco Sabatino e Antonino Cosentino, secondo le quali gli incontri che l’imputato aveva con soggetti pregiudicati non erano tali da far scattare la contestazione della violazione. Al termine della sua requisitoria, il pubblico ministero Palma Nusdeo aveva chiesto la condanna di Mancuso alla pena di un anno e otto mesi di reclusione.

Il 16 aprile di quest’anno l’imputato aveva incassato un’altra assoluzione sempre per lo stesso reato. Da oltre un anno e mezzo, come detto, risulta irreperibile pur non essendo allo stato raggiunto da alcun provvedimento giudiziario. Considerato indiscusso capo del sodalizio criminale, era stato condannato nei processi “Tirreno” e “Count down” per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti.

Fu lui – secondo quanto riferì il pentito Franco Pino ai maxiprocessi “Genesi” e “Tirreno” -, parlando a nome di tutte le famiglie calabresi, ad opporre il rifiuto della ’ndrangheta agli emissari di Totò Riina, nel summit del 1992 a Nicotera, affinché le famiglie calabresi appoggiassero lo stragismo di Cosa nostra nella guerra allo Stato.

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