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Chissà se il monito del presidente della Repubblica sull’autonomia differenziata aprirà gli occhi a chi i numeri non vuole leggerli. Parità di diritti da Nord a Sud, che tradotto vuol dire garantire finalmente i livelli essenziali delle prestazioni dopo venti anni di assenza.

Partiamo da un dato consolidato e confermato a vari livelli, dalla Corte dei conti a ex ministri: ogni giorno il Sud “perde” circa 170 milioni. A tanto, infatti, ammonta, su base giornaliera, il “bottino” da più di 61 miliardi che ogni anno, dati del “Sistema dei conti pubblici territoriali” alla mano, viene sottratto al Sud e dirottato verso il Nord. Parliamo di circa 5,2 miliardi al mese di spesa pubblica allargata, non solo statale.

L’OPERAZIONE VERITÀ

Lo ha svelato il nostro giornale con l’Operazione verità (LEGGI IL DOSSIER), è stato certificato dalla Corte dei conti e lo ha ammesso anche la Commissione parlamentare d’inchiesta. Eppure, nulla è cambiato, nemmeno il Covid è riuscito a impedire la sottrazione di risorse.

Gli oltre 62 miliardi di spesa pubblica mancata risuonano anche in un intervento in Parlamento dell’ex ministro Francesco Boccia: «Il Sud non ha mai avuto più del 22% di risorse negli ultimi 16-17 anni» ha sentenziato, a fronte di una popolazione superiore al 34%. Il problema è la spesa storica, la definizione dei livelli essenziali è una priorità.

La prova ci viene fornita dando uno sguardo a quanto accadrà tra qualche mese nel riparto del fondo sanitario, dove il Sud rischia una doppia beffa se non si interverrà rapidamente: anziché ricevere più risorse, quasi tutte le Regioni meridionali si ritroveranno con meno fondi.

Il nuovo sistema di verifica e valutazione dei Lea prevede criteri più severi per giudicare la qualità e l’efficienza dei sistemi sanitari regionali e, stando a una simulazione svolta dal Comitato Lea – organo del ministero della Salute – solo 11 Regioni su 21 risultano essere adempienti, quindi sarebbero promosse. Le “inadempienti” sono quasi tutte del Sud: Campania, Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia, Lazio, Sardegna: si salvano soltanto Puglia e Abruzzo.

Solamente nel 2018, nella differenza tra spesa storica e reali fabbisogni, il Mezzogiorno ha perso 177 milioni di euro, ha ricevuto cioè circa il 22% di risorse in meno rispetto a quello che avrebbe dovuto incassare se si fossero presi in considerazione i Lep.

Anche le altre Regioni ci hanno perso, ma molto meno: il Nord-Est ha ricevuto trasferimenti in meno pari al 15,9% (73 milioni), il Nord-Ovest pari al 15,5%, il Centro ci ha rimesso appena 26 milioni, per un “ammanco” del 4,1%. È quanto emerge analizzando i dati di “OpenCivitas”, il portale di accesso alle informazioni degli Enti locali, un’iniziativa di trasparenza promossa dal dipartimento delle Finanze e da Sose.

LE PERDITE

Il 2018 è l’ultimo anno disponibile, prendendo in considerazione le singole Regioni il dato è emblematico: la Puglia ha ricevuto il 25,46% delle risorse in meno; la Campania ha registrato un -25,7% nella differenza tra spesa storica e fabbisogni, mentre la Toscana ci ha rimesso solo il 2,6%, il Veneto -14,5%, il Piemonte -16,9%, la Lombardia -15,3%, l’Emilia Romagna -17,4%.

D’altronde, anche la Corte costituzionale, recentemente, lo ha ribadito, l’ultima volta con la sentenza 65 del 2016: è indispensabile determinare i livelli essenziali delle prestazioni per garantire servizi uguali da Trieste a Palermo. Per evitare che, come accade ormai da almeno due decenni, i soldi per gli investimenti prendano una sola direzione, quella del settentrione. Vale per la sanità, come per l’istruzione e le infrastrutture.

Nel settore delle infrastrutture, solo per dirne una, nel 2018 la Svimez ha calcolato che al Mezzogiorno sono stati sottratti ulteriori 3,5 miliardi di euro. Gli investimenti infrastrutturali nel Sud, che negli anni Settanta erano circa la metà di quelli complessivi, negli anni più recenti sono calati a un sesto di quelli nazionali. In valori pro capite, nel 1970 erano pari a 531,1 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 451,5 e il Mezzogiorno a 677 euro; nel 2017 si è passati a 217,6 euro pro capite a livello nazionale, con il Centro-Nord a 277,6 e il Mezzogiorno a 102 euro.

Stesso discorso in altri settori: la Regione Puglia, per esempio, sempre secondo i dati Openvicitas, per garantire nel 2016 agli allora 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto spendere 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più.

SCUOLA PENALIZZATA

Le Regioni del Mezzogiorno, nel 2016, per tutti i servizi elencati hanno sopportato un costo complessivo di 7,9 miliardi (spesa storica), ma avrebbero avuto bisogno, secondo i calcoli di OpenCivitas, di almeno 8,18 miliardi (spesa standard): uno scarto negativo del 3,43%. Le Regioni del Nord, al contrario, hanno investito complessivamente 16,42 miliardi, nonostante il fabbisogno reale fosse di 15,23 miliardi. Hanno speso di più avendo ricevuto più soldi da Roma.

Se prendiamo in considerazione solamente il capitolo “istruzione”, le Regioni del Sud registrano uno scarto negativo tra spesa storica e spesa standard del 30,89%. Diversamente, il Nord ha potuto investire il 9% in più rispetto al reale fabbisogno. Nel Mezzogiorno, l’82% dei Comuni ha una spesa storica per l’istruzione che è nettamente inferiore rispetto a quella standard: vuol dire che i sindaci ricevono dallo Stato meno soldi di quelli che sarebbero realmente necessari per garantire un servizio degno di questo nome.

La situazione è diversa al Centro, dove oltre la metà degli enti, il 52%, registra una spesa storica superiore a quella standard e lo stesso vale per i Comuni del Nord-Est (51%) e, in misura minore, per quelli del Nord-Ovest (45%). Così, mentre Napoli ha una spesa storica per l’istruzione di 78,24 euro e una spesa standard di 86,61 euro, Bologna ha una spesa storica di 189.36 euro e una spesa standard di appena 118.52 euro. E ancora: Bari presenta una spesa storica di 64.13 euro e una spesa standard di 74.8 euro; Firenze ha una spesa storica di 133.96 euro e una standard di 104.54 euro.

SANITÀ A PICCO

Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36 per cento; altrettante regioni del Mezzogiorno, invece, già penalizzate perché erano beneficiarie di fette più piccole della torta, dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato 944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Se il sistema del federalismo fiscale fosse stato equo, il Comune che avrebbe guadagnato di più sarebbe stato quello di Giugliano, in Campania, dove oggi mancano all’appello 33 milioni di euro (270 euro pro capite). Reggio Calabria avrebbe dovuto ricevere 41 milioni in più, 229 euro a testa. Seguono Crotone (3 milioni, 206 euro a cittadino), Taranto (39 milioni, 198 euro pro capite), Catanzaro (15 milioni, 168 euro pro capite), Bari (53 milioni, 166 euro pro capite). Ma il Comune che perde di più in termini assoluti è Napoli: 159 milioni, 164 euro pro capite.


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