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Giorgia Meloni e il ministro Giancarlo Giorgetti

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Diventa necessario che il governo renda pubblico il suo programma non ordinario per sostenere la crescita e ridurre le diseguaglianze dimostrando di avere una visione che va oltre i prossimi tre mesi. Per evitare di arrivare a giugno con la recessione che ti sbatte in faccia e tutti che chiedono conto al duo Meloni-Giorgetti.  L’Italia ha una carta che si chiama Sud da giocare e bisogna mettere dieci persone a lavorare sull’attrazione di investimenti europei, favoriti dalla congiuntura internazionale, incentivando la sburocratizzazione. Per il Pnrr serve la capacità di accelerare sulle innovazioni di governance decisionale per aprire i cantieri continuando a selezionare donne e uomini sulla base delle competenze. Per il futuro dell’Italia è decisivo che non si blocchino il processo riformista e il flusso di investimenti. Margaret Thatcher fece una riforma vera della concorrenza, cambiò la composizione della spesa tra investimenti e consumi e privatizzò tutto quello che poteva salvando l’Inghilterra. Questa deve essere l’ambizione della Meloni altrimenti verranno travolti lei e il suo governo.

SI STA rispondendo con l’ordinaria amministrazione a una situazione che non è ordinaria. Non si stanno compiendo passi falsi e questo è già un risultato importante. La manovra da 32 miliardi con gli interventi concentrati contro il caro bolletta e sulla conferma del taglio del cuneo fiscale con qualcosa in più tutto a favore dei lavoratori, ricalca alla perfezione l’ultima manovra Draghi anche sul piano degli strumenti fiscali e dei meccanismi normativi utilizzati. Questo comportamento mette al riparo dal precipizio dei mercati e va lodato. Hanno  messo poche centinaia di milioni per le bandierine delle pensioni e della flat tax e, quindi, si è preservata la linea della responsabilità in finanza pubblica senza la quale la partita del nuovo governo Meloni finisce all’istante.

Non era scontato, lo abbiamo già detto e lo ripetiamo. Almeno così risulta quando questo giornale va in stampa. C’è un punto strategico, però, che non va sottovalutato e che ci porta a dire che non si può rispondere con la sana ordinaria amministrazione alla nuova insana straordinaria situazione mondiale che porta in casa la recessione. Il governo Draghi era un governo di scopo: il primo obiettivo era fare il Piano nazionale di ripresa e di Resilienza che il suo predecessore non aveva fatto ed è stato centrato senza mai bucare un target, incassando dall’Europa tutto quello che si doveva incassare, e soprattutto avviando un processo riformatore compiuto che ha ridato reputazione mondiale all’Italia favorendo l’attrazione di capitali internazionali e ha restituito in casa fiducia a produzione e consumatori che hanno ripreso a investire e spendere.

Questa è la miscela, unita alla fermezza e alla intelligenza strategica con cui si è combattuta la pandemia, liberando prima degli altri Paesi europei socialità e economia, che ha consentito all’Italia di essere l’unica delle grandi economie del Vecchio Continente a collezionare sette trimestri consecutivi di crescita e a rimettere in moto anche pezzi dell’economia meridionale da sempre in caduta libera.  Il governo Meloni è un governo politico e ha l’obbligo di avere una visione di lungo termine e di compiere alcune scelte strategiche non più eludibili. Senza dimenticare che l’Italia di oggi è come una bicicletta che se non va avanti casca, non basta cioè che resti in equilibrio e non esca di pista.

Bisogna uscire pubblicamente dalle ambiguità del programma elettorale della Lega che porta a sbattere. Perché continuare a mandare prima la gente in pensione abbassa il tasso di partecipazione e premere sul tasto dell’autonomia con la spesa storica significa togliere la fiducia sul futuro e disintegrare il Paese.  Bisogna viceversa che il governo politico con un orizzonte di legislatura renda pubblico il suo programma per sostenere la crescita e ridurre le diseguaglianze dimostrando di avere una visione che va oltre i prossimi tre mesi coperti dal nuovo contenuto deficit e dall’apprezzamento stabilizzatore delle agenzie di rating e dei mercati.

Per evitare di arrivare a giugno con la recessione che ti sbatte in faccia e tutti che chiedono conto al duo Meloni-Giorgetti. Che, a sua volta, proverà inutilmente ad addossare a chi li ha preceduti la responsabilità del nuovo disastro italiano. Bisogna agire oggi per il domani con almeno tre scelte forti che cancellino totalmente dall’orizzonte tale nefasto scenario . È ancora possibile, ma queste scelte vanno fatte oggi e soprattuto vanno nutrite di decisioni quotidiane che si muovano tutte nella stessa direzione. 

Le tre scelte strategiche, a nostro avviso, sono Mezzogiorno, Piano nazionale di ripresa e di resilienza, ricomposizione della spesa tra consumi e investimenti.  Sulla prima scelta strategica si tratta di fare un goal a porta vuota perché le imprese tedesche hanno già al vaglio la decisione di internalizzare molte delle loro attività manifatturiere nel Mezzogiorno d’Italia. Perché non hanno più né la forza né la voglia di andare a internalizzare in Cina, in Brasile, in Polonia. Perché le politiche anti Covid e la guerra Russa nel cuore dell’Europa hanno cambiato tutto. L’Italia ha una carta storica che si chiama Sud da giocare e bisogna mettere subito dieci persone a lavorare su come accelerare nell’attrazione di investimenti europei, incentivando al massimo la sburocratizzazione che faciliti l’attrazione già in atto di capitali. Per andarsi a prendere, tra l’altro, con gli investimenti che creano sviluppo e lavoro, quei consensi elettorali che i cinque stelle si sono “rubati con il voto di scambio” dell’assistenzialismo e della bandiera sventolata del reddito di cittadinanza. Che va preservato in modo assoluto per sostenere poveri e bisognosi che oggi soffrono più di prima e liberato dal coagulo di truffe che ci ruota intorno. 

Per la seconda scelta strategica, che riguarda l’attuazione del Pnrr e la non interruzione del processo riformatore compiuto avviato in esso contenuto, servono la volontà politica di dare attuazione nei tempi prestabiliti alle leggi della giustizia e della concorrenza rivendicandone il merito politico e, allo stesso tempo, la capacità di accelerare sulle innovazioni di governance decisionale già messe in atto per aprire i cantieri e fare gli investimenti non come, purtroppo in parte sta già accadendo, rimuovere i migliori nei gangli della pubblica amministrazione perché non sono amici nostri. Ciò che ha fatto la differenza rispetto al passato per il governo Draghi, a partire dalla scelta del generale Figliuolo, è stata la volontà di selezionare donne e uomini sulla base delle capacità e delle competenze che di volta in volta si ritenevano necessarie. Questo, non altro, in dialogo costante con l’Europa come sta facendo correttamente Fitto, è l’unico modo possibile per superare l’impasse spingendosi fino a scelte anche più coraggiose. Che sono essenzialmente due: rifare a livello centrale una nuova Cassa super tecnica che assista i Comuni meridionali in tutte le fasi di progettazione e di esecuzione dei progetti; coinvolgere con il partenariato grandi soggetti privati come è avvenuto con successo nella realizzazione del primo progetto di alta velocità ferroviaria che ha riguardato il Paese da Milano a Napoli senza scendere come avrebbe dovuto fino alla punta della Calabria e all’intera regione siciliana. 

La terza scelta strategica riguarda la capacità di mettere in moto un forte processo di ricomposizione della spesa tra consumi e investimenti. I dati sulla spesa nell’area dell’euro per gli investimenti pubblici sono passati da uno standard di 4 punti a 3 con una perdita secca del 25% del volume totale. Un segnale preoccupante. Se passiamo poi dagli investimenti fissi lordi a quelli netti ci imbattiamo in uno zero davvero inquietante che non promette nulla di buono, anzi annuncia burrasca. Qui bisogna essere molto chiari. Per il futuro dell’Italia è decisivo che non si blocchi il flusso di investimenti in impianti e macchinari netti, non lordi. Ci sono già segnali eloquenti che da un mese all’altro sono collassati. Questo proprio non ce lo possiamo permettere. Se riprendono la scena i traccheggiatori di turno del nulla alla Salvini l’improvvisa stasi italiana continua e dopo non si può più recuperare. Non si può nemmeno pensare di continuare a tirare a campare facendosi calcoli, peraltro sbagliati, su presunti bacini elettorali. Se continuiamo a fare finta di fare la flat tax e di non mandare la gente in pensione, quando arriva la recessione aumentano solo i morti e i feriti.  Siccome sta arrivando per davvero dal resto del mondo serve un Paese che recupera slancio non quello di sempre in cui non funziona nulla e tutto si ferma. 

Se Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, nei rispettivi ambiti, non trasferiscono alla comunità un nuovo riferimento economico che è la visione strategica degli investimenti e delle riforme che avanzano, è matematico che la parte sana del Paese tira i remi in barca e il mondo si dimentica di noi.  Margaret Thatcher fece una riforma vera della concorrenza, cambio la composizione della spesa tra investimenti e consumi e privatizzò tutto quello che poteva. Salvò l’Inghilterra e passò alla storia. Questa deve essere l’ambizione di oggi della Meloni altrimenti vengono travolti lei e il suo governo. Si potrà anche urlare che è colpa di chi la ha preceduta, ma lei andrà a casa uguale. Il Paese ha bisogno dell’esatto contrario per continuare a correre all’interno, nonostante tutto, e consolidare fuori la reputazione ritrovata. Anche per questo è semplicemente masochista litigare con Macron, che è alle prese con un governo senza maggioranza, su temi seri ma che hanno il profilo delle emergenze politiche inventate, quando invece abbiamo bisogno della sua alleanza per vincere in Europa le battaglie strategiche del Recovery energetico e del nuovo patto di stabilità e crescita. 


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