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MAI dire campus, specie a Matera. Non perché si voglia fare a tutti i costi quanto piuttosto perché i tempi biblici dei lavori, le attese, le dimenticanze per ottenere i fondi per la realizzazione di progetti vincitori di concorso, la perdita di finanziamenti, il loro successivo rifinanziamento, invitano alla prudenza.
Parlare di università a Matera è un po’ come parlare della ferrovia: c’è n’è una a Potenza e una a Bari, quella in mezzo può dare fastidio.
E probabilmente continua ad essere così dal momento che l’improvvisata conferenza stampa dell’altro giorno al sesto piano del Comune non ha permesso di comprendere chiaramente di che università si sta parlando.
Sui contenitori non ci sono dubbi: il campus e lo studentato sarebbero davvero un fiore all’occhiello probabilmente dell’intero Mezzogiorno, sempre che si rispetti il progetto originario, cosa che forse non sembra essere così scontata. Un indizio sta nel fatto che non è stato presentato uno straccio di progetto, un rendering per far capire come sarà l’opera una volta completata.
Non è che dopo cinque anni di calvario alla città viene consegnato un recupero raffazzonato e non rifinito rispetto alle previsioni originali per rispettare i nuovi tempi di consegna e i nuovi costi delle opere? Il rischio c’è.
Anche perché, dalle parole del Rettore dell’Unibas, si è percepita la voglia di entrare in possesso del nuovo edificio anche se incompleto nelle pertinenze esterne. Si è percepita un’ansia da trasloco che potrebbe significare un ridimensionamento della qualità degli edifici del campus e questo non sarebbe accettabile per la città. 1,5 milioni di euro non non saranno sufficienti a completare l’opera, ne occorreranno almeno una decina in più per attuare il progetto complessivo, conservato nei cassetti della Regione, che prevede il riutilizzo funzionale di tutte le strutture al servizio dell’Università e la realizzazione di strutture sportive e parcheggi.
Bisognerà inoltre affrontare, prima o poi, anche il nodo della sede degli uffici regionali che dovranno essere delocalizzati, perché a Macchia Romana nessuno ha mai pensato di trovare degli spazi per metterci dentro il dipartimento Formazione e cultura.
C’è poi l’aspetto dei contenuti, perché per fare un’Università non bastano i contenitori. I numeri dicono che su 14 corsi triennali attivati nell’Ateneo lucano, a Matera ce ne sono soltanto 2; delle 16 lauree magistrali una sola ha sede nella città dei Sassi, che però ha due lauree a ciclo unico sulle tre attive nell’Unibas. Di questo squilibrio, che solo in parte può essere giustificato dall’assenza di aule e strutture didattiche, non si è parlato nella conferenza stampa dell’altro giorno.
Certo è che se davvero si vuol puntare sulla sede universitaria di Matera non si potrà non pensare a forme di autonomia gestionale e amministrativa che possano consentire lo sviluppo dell’ateneo materano. Matera, in altre parole dovrà essere una sede gemella, non una succursale, di Potenza. Per far questo bisognerà immaginare di dare alle Facoltà che si istituiranno a Matera un’identità ben definita, perché pensare di fare il campus e lo studentato per 4 corsi di laurea è una follia oltre che uno spreco di danaro pubblico. Matera potrebbe ospitare (eccome) una Cattedra Unesco, sempre che l’Unibas si decidesse a farne richiesta, così come sarebbe stata certamente luogo ideale per il corso di laurea magistrale internazionale in Economia delle risorse culturali e naturali che invece (guarda caso) è stata attivata a Potenza.
In altre parole, non basterà un campus per attrarre studenti, serviranno nuovi modelli di sviluppo che al momento non sembrano esserci: l’apertura a soggetti privati attraverso la creazione di una fondazione con lo scopo di attrarre investimenti e migliorare la qualità delle strutture e della didattica.
Matera in quest’ottica può fare la sua parte sfruttando un brand (questo l’assessore Berlinguer lo ha capito bene) che ormai è riconosciuto sul piano culturale e turistico. Ci vuole la volontà politica. Le chiacchiere stanno a zero.
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