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GLI esperti li definiscono idrocarburi non convenzionali. Ci riferiamo al gas e al petrolio di scisto (shale gas e shale oil): gas intrappolato in uno strato di roccia. È estratto mediante fracking, o fratturazione della roccia, grazie a un fluido acquoso. In questi ultimi tempi, però, si parla anche di impiegare altri tipi di fluidi. La peculiarità è il processo estrattivo. I depositi di scisti sono piuttosto grandi. Si concentrano negli Stati Uniti, Australia, India, Cina, Canada e in Europa. L’Unione Europea stima in circa 450mila miliardi, a livello mondiale i giacimenti. L’Europa in particolare avrebbe a disposizione 14.400 miliardi di metri cubi di gas di scisto, a fronte di un consumo annuale di circa 500 miliardi.

In Italia il gas di scisto è presente in Toscana (Amiata), Sardegna (Sulcis), Sicilia, Basilicata e Puglia. Riserve per 10 miliardi di metri cubi e 100 miliardi di barili di petrolio. In Sicilia sono stati scoperti giacimenti di scisto bituminoso per 73 miliardi di barili e molte compagnie, soprattutto americane, negli anni scorsi, avevano manifestato l’interesse ad avviarne l’estrazione. Poi la burocrazia le ha spaventate e non se n’è fatto più niente. Ma il Governo Meloni, chiamato a fronteggiare la più grave crisi energetica del Secondo dopoguerra, sta tornando a considerare con favore i giacimenti di idrocarburi onshore e offshore scoperti, ma solo parzialmente coltivati per le remore burocratiche e l’opposizione delle popolazioni locali, come una risorsa preziosa da mettere in campo per accrescere la produzione nazionale di gas e petrolio, potendo così contribuire a rendere l’Italia un po’ meno dipendente dal punto di vista energetico dall’import estero di quanto lo sia oggi.

L’Esecutivo sta predisponendo proprio in questi giorni un piano per rimettere in azione le trivelle e coltivare i giacimenti di gas naturale e di petrolio sulla terraferma e in mare aperto. I mass media, che in genere si interessano a tutto, non sono stati molto solleticati dall’argomento. Sono i tecnici naturalmente a conoscere le effettive potenzialità derivanti dal gas di scisto e le conseguenze che il loro sfruttamento potrebbe avere sugli scenari geopolitici mondiali. Il cittadino fatica a farsi un’opinione, la politica europea ne discute, ma ancora non decide in maniera univoca, mentre la mappa delle potenze energetiche si sta rapidamente modificando.

Proviamo adesso a comprendere i mutamenti di scenario e le attuali conoscenze scientifiche sul gas di scisto e sul fracking. Alcune rocce, per la maggior parte argillose, contengono al loro interno piccole quantità di idrocarburi allo stato gassoso. Lo scisto bituminoso è una roccia sedimentaria, solitamente di fine granulometria, di color nerastro o marrone scuro, ricco di una particolare materia organica, il cherogene, derivante dalla diagenesi dei resti di organismi sepolti assieme al sedimento, da cui possono essere prodotti idrocarburi liquidi come l’olio di scisto. L’olio di scisto è un succedaneo del petrolio greggio, tuttavia, l’estrazione di olio da scisti bituminosi è più costosa rispetto alla produzione di greggio convenzionale sia finanziariamente, sia in termini di impatto ambientale. Questi tipi di giacimenti si trovano tra i 2.000 e 4.000 metri di profondità, quindi si procede a una perforazione verticale nel terreno per poter raggiungere lo strato di rocce e, successivamente, una perforazione orizzontale, alla quale segue una fratturazione, come viene evidenziato nello schema che pubblichiamo nella pagina. La fratturazione delle rocce avviene mediante un getto d’acqua a elevatissima pressione, a cui sono aggiunti alcuni additivi che ne facilitano la rottura. Rompendosi, la roccia rilascia il gas che può risalire in superficie. Si stima che il recupero di gas da questa tecnica si aggira intorno al 30% del gas presente nel sito, contro il 70% del recuperato nei giacimenti convenzionali. Ciò si traduce in un numero di perforazioni elevate per poter ottenere quantità di gas naturale che permetta la continuità produttiva. Gli esperti ipotizzano che ci siano grandissime riserve di questo gas non convenzionale, tali da ridisegnare gli scenari energetici del prossimo futuro.

Un secondo fattore è che queste riserve sono ubicate anche in Paesi che, tradizionalmente, non sono grandi produttori di idrocarburi convenzionali, e ciò influenza la geopolitica mondiale. Gli Stati Uniti, ad esempio, grazie al gas di scisto, hanno energia a basso costo che impiegano per accelerare la crescita industriale e puntano a diventare un Paese esportatore netto di gas naturale.

Il primo effetto di questa politica è che l’eccesso di offerta ha disaccoppiato il prezzo del gas naturale da quello del petrolio e i prezzi del gas si stavano riducendo almeno fino all’esplosione della guerra in Ucraina. Secondariamente, Russia e Paesi del Golfo avranno un concorrente diretto e vacillerà la loro egemonia. Guardando all’Asia, anche la Cina scommette sul gas di scisto per smarcarsi almeno in parte dalla dipendenza energetica esterna, e lo fa con minore interesse alle problematiche ambientali connesse a questo tipo di estrazione, rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti e in Europa, secondo la narrativa contemporanea.

L’Unione Europea sta discutendo la questione “gas non convenzionale”, ma al momento non c’è una decisione univoca tra gli Stati membri. La Polonia e i Paesi dell’Est vorrebbero mano libera per svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo. La Francia si oppone per i rischi connessi all’estrazione mediante fratturazione, ed ha già approvato una moratoria valida all’interno dei confini nazionali. Al contrario, la Gran Bretagna ha deciso di investire su questa nuova frontiera, a cominciare dalla ricerca connessa ai possibili rischi da fracking. Esiste qualche potenzialità nel metano contenuto nei piccoli strati diffusi di torba e carbone, per esempio nel sottosuolo delle miniere del Sulcis in Sardegna. Si tratta di un “idrocarburo non convenzionale”, ma non è gas di scisto: per estrarre il metano si utilizzerebbe la tecnica ben collaudata relativa ai Coal Bed Methane (CBM) che non richiede la fratturazione della roccia, né l’aggiunta di solventi per far fluire meglio il gas di produzione. Il tema della fratturazione idraulica ha delle questioni ancora aperte, ma a volte il tono della discussione è più una risposta ai timori della popolazione che il risultato di un reale dibattito scientifico e, infatti, sale di livello in periodo pre-elettorale. Il problema più evocato con l’estrazione dei gas mediante fracking è quello della sismicità indotta, creata cioè dai fluidi iniettati nel terreno ad altissima pressione. Su questo aspetto la discussione è spesso distante dalle conoscenze scientifiche in nostro possesso.

In Italia, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha caratterizzato l’intero territorio nazionale ed ha attivato una rete di monitoraggio capillare e assai avanzata, quindi eventuali progetti in aree a sismicità moderata o bassa, potrebbero essere valutati, prendendo le necessarie cautele. Al momento il fracking è una tecnica che impiega un’enorme quantità d’acqua, se rapportata al gas estratto. È un problema tuttora irrisolto che sta mettendo in scacco i Paesi più aridi, che magari hanno giacimenti cospicui ma che non possono permettersi di impiegare tanta acqua. Per quanto riguarda l’inquinamento delle falde è bene considerare che, quando si parla di additivi, non si deve intendere esclusivamente additivi chimici di sintesi. Spesso sono impiegate sostanze già presenti in natura, molte volte si tratta di inerti per “rompere” le argille. In conclusione e sintetizzando possiamo dire che in Italia il gas di scisto e il fracking non sono una priorità, come recita la Strategia Energetica Nazionale. Ma se dovesse protrarsi la guerra in Ucraina e la crisi energetica si acuisse ancora specie in coincidenza con l’entrata a regime dal 5 dicembre 2022 del sesto pacchetto di sanzioni approvato da Bruxelles contro Mosca, che impone tra l’altro l’embargo all’importazione del greggio russo via nave, un pensierino, forse, il Paese potrebbe farcelo.


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