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Montescaglioso, due del mattino del 14 dicembre 1949. Alberto Jacoviello racconta su L’Unità di come i carabinieri del battaglione di Bari intervennero casa per casa per arrestare le donne che erano rimaste con i figli mentre i mariti, ed i figli più grandi, erano nei campi ad occupare le terre. Michele Strazza e Rocco De Rosa,a distanza di decenni, hanno poi descritto esaurientemente i fatti dell’epoca. Mentre arrivavo nella cittadina agli estremi lembi della Lucania,dalla quale in giorni limpidi si vedono il lontano vulcano spento del Vulture ed il territorio del tarantino,inerpicandomi sui tornanti che mostrano ed a tratti nascondono l’Abbazia,non potevo non pensare a quei fatti ed alla coraggiosa donna-contadina Nunzia Suglia ,svegliata nella notte tra le grida dei figli e trascinata via ( Jacoviello ,ndr). Ma lo scopo del nostro breve viaggio,ero con mia nipote Sveva Sernia, era solo quello di visitare l’Abbazia di san Michele e fare una passeggiata nel centro storico,senza pretese di fare ricostruzioni storiche che altri hanno fatto egregiamente. Parcheggiata dunque la Panda in piazza del popolo, nei pressi di un arco che quasi inquadra la dirimpettaia Matera, dopo avere inavvertitamente percorso “ a viceversa” ( così mi avvertiva molto gentilmente una signora) poche decine di metri nei pressi dell’Abbazia,mi accingo alle visite. Chiedo ad un signore ed un ragazzo informazioni e loro si offrono di farci visitare la Chiesa di San Michele, prima dell’Abbazia. Antonio Mazziotta, questo il nome del gentilissimo signore,è guarda caso proprio il titolare dell’impresa che ne cura il restauro. La chiesa si presenta come un cantiere,con un’impalcatura che arriva sino alla cupola,a quaranta metri di altezza. Mazziotta deve avere intuito la mia delusione,perché mi mostra affreschi che solo qualche mese prima,nel corso di saggi,aveva scoperto in una delle cappelle laterali, e foto del prima e dopo di parte del restauro della cupola. Poi ci porta all’Abbazia,visitabile solo al piano terra,con due chiostri, uno dei quali avente capitelli con raffigurazioni diverse per ogni colonna. Franco Caputo, sopraggiunto,ci mostra la biblioteca ed i suoi affreschi al piano superiore,cantiere aperto anche questo. Nell’attesa di Caputo,un anziano signore ci invita ad entrare in una stanza nel corridoio del primo chiostro, la “sua” stanza si può ben dire,visto che lì Vito Salluce ha il suo privato Santuario. Le pareti ad altezza d’uomo sono tappezzate di fotografie storiche,su di un mobile il suo elmetto ed il suo berretto da caporalmaggiore;più su, volta compresa,appese divise militari con tanto di gradi originali. E, sotto la finestra ,in tre gabbiette,tre coppie di falchi grillai!Tutto regolare ed autorizzato, si affretta a dire Vito che poi, sollecitato,ci racconta di come e perché ha cominciato ad occuparsi della cura di questi rapaci,che i bambini raccolgono quando capita che cadono dal nido e gli portano. Seconda guerra mondiale in Africa,un gruppo di soldati affamati,digiuni da quattro giorni,sparano ad un rapace e se lo mangiano. Il cappellano militare saputo il fatto li redarguisce furiosamente: “ Non fatelo mai più,piuttosto morite di fame!Queste creature ci aiutano ad individuare i nostri feriti, morti o dispersi, quando si librano in aria alla ricerca di cibo”. Vito,che era fra quei soldati,giurò solennemente che se avesse avuto la grazia di tornare al paese si sarebbe dedicato alla cura di questi uccelli bisognosi per poi consegnarli alla forestale per il loro rilascio nell’ambiente naturale. Di tanto altro mi racconta con garbo Vito,pur consapevole di perdere il bus che lo riporta a casa finito il lavoro,o meglio, il volontariato. Prima di rimetterci sulla via del ritorno dopo la passeggiata nel bel centro storico,vistiamo la Chiesa Madre e quella di Santa Maria in Platea ricca di affreschi. Montescaglioso però merita lo studio della sua storia ed una seconda accurata vista,ci ritorneremo .

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