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Giorgia Meloni

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Punto uno. L’errore che si potrebbe commettere è pensare che siccome la crescita del terzo trimestre del 2022 è andata meglio del previsto ci si allarga. No, oltre la soglia del 4,5% di deficit che libera 21 miliardi non si può andare perché è la quota massima utilizzabile senza azzerare la riduzione del rapporto debito/Pil. Sarebbe meglio farne un po’ meno. Punto secondo. Tutti i soldi di questo nuovo deficit devono essere concentrati sull’energia a sostegno di famiglie e imprese. Neppure un euro di essi può essere destinato a pensioni, flat tax e amenità varie. Perché con una crescita al 3,9% per il 2022, che segue quella del 6,7% del 2021, e una crescita programmata dell’1% per il 2023 diventa complicato fare scostamenti di bilancio con il consenso europeo visto che non devi combattere la recessione o la pandemia

Giorgia Meloni non ha avuto i classici cento giorni di luna di miele, ma una settimana. Sui temi sanitari, dei diritti e della sicurezza il governo degli obbedienti ha consentito alla Meloni di fare quello che aveva in mente e anche i ministri che non la pensavano proprio così hanno assecondato con convinzione. Hanno voluto consumare in armonia la settimana di luna di miele almeno all’interno della compagine di governo. Si capirà dopo che effetto fanno le misure prese e lei ne beneficerà o ne risponderà personalmente, ma siamo sempre nel campo delle ideologie con alcuni profili dedicati cui porrà presumibilmente rimedio il Parlamento. Voglio dire: finisce lì. Questo è il risultato della settimana di luna di miele.

Ora, invece, ha davanti a sé ventiquattro ore per fare scelte cruciali di finanza pubblica che possono salvare l’Italia o farla scivolare, oltre che legittimare pienamente o meno il suo ruolo in Europa. Diciamo che non si scherza più. Questa volta sarà lei a dovere dare ascolto al ministro dell’economia Giorgetti rispettando almeno due paletti che sono la linea del Piave della credibilità italiana in casa e fuori.

Perché è in gioco il futuro dell’Italia e del suo governo. Perché è in gioco la possibilità di pesare o meno in Europa sulle scelte che andranno condivise in materia di sostegni energetici, revisione del piano nazionale di ripresa e di Resilienza alla luce di questi rincari, posizionamento rispetto alla guerra in Ucraina e nuovo patto europeo di stabilità e di crescita. Che è il capitolo più insidioso dato che alla fine della fiera incide a regime sui margini di manovra della nostra economia e sulla capacità di dare risposte concrete ai problemi sociali del Paese. A partire dalle diseguaglianze di ordine territoriale che sono quelle più delicate perché minano strutturalmente la competitività e incidono sugli squilibri di reddito e di benessere individuale.

In questo quadro complicato presentarsi al primo incontro che avviene oggi con la presidente della Commissione europea, von der Leyen, con il biglietto da visita ricevuto in eredità dal governo Draghi della migliore crescita europea e della maggiore riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo dalla guerra a oggi è un punto di forza assoluto che va rivendicato e onorato. Come? Rispettando due paletti che sono irrinunciabili.

Punto uno. L’errore più grave che si potrebbe commettere è quello di pensare che siccome la crescita del terzo trimestre del 2022 è andata meglio del previsto io mi allargo. No, oltre la soglia del 4,5% di deficit che è un allargamento significativo rispetto alla forchetta preventivata e libera 21 miliardi non si può assolutamente andare perché è la quota massima di deficit utilizzabile senza azzerare la riduzione del rapporto debito/Pil.

Punto secondo. Tutti i soldi di questo scostamento devono essere interamente concentrati sull’energia, neppure un euro di essi può essere destinato a pensioni, flat tax e amenità varie. Tutto lo sforzo deve essere indirizzato a sostegno di famiglie e imprese. Perché con una crescita acquisita al 3,9% per il 2022, che segue quella del 6,7% del 2021, e una crescita programma dell’1% per il 2023 diventa complicato fare scostamenti di bilancio con il consenso europeo per i vincoli imposti dal fiscal compact del 2012 che ti permette di fare scostamenti di bilancio solo se devi combattere la recessione o se si ripetono eventi terribili come la prima pandemia.

Sull’impegno di ridurre il deficit e, soprattutto, di ridurre il debito in rapporto al Pil non ci sono margini di discrezionalità sopra questa fascia e fuori da questi vincoli di destinazione. Anche perché nel 2023, per la prima volta, con un deficit programmato al 4,5%, dobbiamo piazzare sul mercato nuove emissioni nette di Btp per 63 miliardi che si aggiungono allo stock in essere di 400 miliardi.

Fino all’anno scorso non abbiamo mai dovuto piazzare emissioni nette nuove. I mercati non ci dovevano comprare nulla perché quel poco emesso era già tutto comprato dalla BCE e, quindi, non abbiamo dovuto cercare nuovi clienti. Nel 2023, anche rispettando il tendenziale previsto da Draghi del 3,4% di deficit, avremmo dovuto piazzare sul mercato  42  miliardi. Passando al 3,9% un filo simbolicamente sotto il 4% di deficit si arriva a dovere collocare 52 miliardi. Con il 4,5% che è fino a oggi la quota ipotizzata in pole position i miliardi da collocare diventano 62/63. Non sono bazzecole.

Dalle scelte di finanza pubblica che verranno fatte nelle prossime ventiquattro ore dipende anche la sorte di questi collocamenti che sono l’altra faccia della sorte in gioco di governo e Paese. Per capire il clima che gira nel mondo sull’Italia di oggi l’agenzia Moody’s, a nostro avviso continuando a sbagliare, ovviamente sempre che la Meloni si muova nel solco di Draghi non se cominci a fare sperimentazioni, prevede crescita zero nel 2023 per il nostro Pil e ha già rivisto in negativo l’outlook del settore bancario italiano.

Il 4,5% di deficit consente un margine aggiuntivo per gli aiuti energetici di 21 miliardi e comporta 463 miliardi di titoli sovrani da collocare di cui 63 sono emissioni nette nuove. Questo è lo stato dell’arte di oggi. Bisogna onestamente prendere atto che sono cresciuti gli spazi di agibilità sul 2022. Sono il frutto del miracolo italiano nascosto da media, previsori e analisti dell’Italia di Draghi, ma ben conosciuto dalle singole imprese non dalle loro rappresentanze. Sono la dimostrazione che fiducia e reputazione in economia contano.

Il quadro d’insieme per il 2023 appare invece un mosaico sempre più complesso e obbliga ad avere prudenza. Sia nella predisposizione della relazione per liberare risorse del 2022 /2023 sia nella definizione della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) che fissa gli obiettivi del 2023 e, di fatto, costruisce l’impianto della nuova manovra. Il picco di inflazione all’11,9% di ottobre indica che il tasso medio programmato sarà più elevato anche se molto lontano da quei livelli ma comunque sufficiente per fare crescere la spesa per la indicizzazione delle pensioni e per il servizio sul debito (tassi più alti da pagare) di altri 3/4 miliardi. Se vogliamo vincere la partita in Europa del nuovo debito comune per l’energia e dei nuovi meccanismi che incidono sulla formazione dei prezzi per combattere la speculazione, dobbiamo partire con il piede giusto e dobbiamo essere anche così bravi da farlo capire ai nostri interlocutori.


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