Umberto Bellocco
2 minuti per la letturaROSARNO (REGGIO CALABRIA) – È morto in un ospedale del Nord Italia il boss Umberto Bellocco, ritenuto il capo dell’omonimo clan di ’ndrangheta di Rosarno. Aveva 85 anni. A renderlo noto uno dei suoi legali, l’avvocato Luca Cianferoni che ha anche annunciato la presentazione di una denuncia «perché sia fatta chiarezza su eventuali responsabilità in ordine alle mancate cure da parte dei sanitari competenti».
Detenuto presso la casa di reclusione Milano Opera in regime di 41bis, il vecchio boss come ha ribadito il suo legale «ha potuto avere almeno il conforto dei familiari più stretti negli ultimi giorni». Cianferoni, unitamente all’avvocato Pintus, aveva chiesto e ottenuto la sospensione della pena e l’allocazione in regime ospedaliero con possibilità di incontro continuativo durante le ultime fasi di vita con i familiari più stretti.
Umberto Bellocco era stato scarcerato per fine pena nell’aprile del 2014 dopo oltre ventuno anni di carcere. Poco prima aveva incassato l’assoluzione in secondo grado nel processo Cosa Mia (sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 16 dicembre 2013). In quel processo Bellocco in primo grado era stato condannato a diciotto anni di reclusione per il delitto di associazione mafiosa con un ruolo di direzione. Allora, 8 anni fa, il suo clan versava in momento di grossissima difficoltà visto che molti esponenti erano detenuti. Una situazione ben diversa da quella che aveva lasciato ventuno anni prima, con la sua famiglia indebolita rispetto ai Pesce nonostante anche questi ultimi erano colpiti dalle operazioni All Inside e Califfo. Subito dopo la scarcerazione Bellocco aveva ripreso le redini del comando della cosca.
«Hermano, sta x uscire dal carcere mio zio che si chiama come me… E a lui devono dare conto tutta la Calabria» disse pochi mesi prima un suo nipote diretto. Un boss Umberto Bellocco, di quelli che contavano per davvero nel panorama della ‘ndrangheta calabrese, un personaggio di altissima levatura criminale, uno degli storici capi della ‘ndrangheta non solo nella piana di Gioia Tauro. Bellocco secondo quanto raccontato da più collaboratori di giustizia aveva la massima carica nell’ambito della ’ndrangheta, avendo ricevuto il grado di “Crimine”, che è la dote più alta nella gerarchia mafiosa. Un grado simile, sempre secondo i collaboratori, lo hanno avuto in passato nella Piana solo i grandi boss da Peppino Pesce, Peppino Piromalli e Saverio Mammoliti e che ha consentito ad Umberto Bellocco, durante il suo periodo di detenzione in carcere, a fondare la Sacra Corona Unita pugliese. Ma pochi mesi dopo la sua scarcerazione venne nuovamente arrestato nell’ambito dell’inchiesta denominata “Sant’Anna”, che aveva cristallizzato le manovre del boss per riprendersi Rosarno. «Vedi – diceva alla moglie – quando si sognano di nominare i Bellocco, neanche si possono sognare cosa gli può succedere! Non se lo sognano!».
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