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Giorgia Meloni

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GIORGIA Meloni ha preso il volo per Milano in tarda mattinata. Matteo Salvini si trovava già nel capoluogo lombardo, come ogni fine settimana. «Che ne dite facciamo un punto complessivo da me?», è stata la proposta di Silvio Berlusconi. Arcore, villa San Martino, residenza del Cavaliere. Più o meno attorno alle 4 del pomeriggio si siedono attorno un tavolo la presidente del consiglio in pectore, Meloni, il leader di Forza Italia, nonché padrone di casa, e il segretario della Lega, Salvini. Urge, accelerare. Perché il contesto socio-economico non consente tentennamenti e lungaggini.

La settimana che sta per iniziare segna di fatto il fischio di inizio della nuova legislatura. Primo step: giovedì 13 ottobre sarà il giorno dell’insediamento delle Camera. Dopodiché si potrà procedere con l’elezione della seconda e della terza carica. Lo schema iniziale prevedeva la poltrona di Palazzo Madama alla Lega e quella di Montecitorio a Forza Italia. Per un attimo, poi, è sembrato che Meloni volesse riapplicare la regola aurea della Prima Repubblica quando la Dc cedeva sempre una delle due Camere all’opposizione, ovvero al Partito comunista. Berlusconi ha fermato l’ipotesi sul nascere: «Giorgia, attenta a essere generosa con l’opposizione, ricordati che il Pd ha già il Quirinale che vale quattro presidenze di Camera e Senato». Si cambia schema, insomma. E se mutasse il modulo, allora Meloni vorrebbe puntare su Ignazio La Russa come potenziale presidente del Senato. La Russa è uno delle vecchia guardia del Msi e di An. È sempre stato al fianco di «Giorgia». E quest’ultima si fida di lui e di conseguenza da quella postazione sarebbe il guardiano dei numeri in Senato. A Palazzo Madama il centrodestra ha una maggioranza piena di 112 senatori ma è sempre meglio monitorare quello che succede. Anche perché, come insegnano i parlamentari con più esperienza, «in un attimo si sganciano dieci senatori ed è crisi di governo».

In questo gioco di incastri alla Lega potrebbe toccare la presidenza della Camera. Due sono i nomi di via Bellerio: Giancarlo Giorgetti e Riccardo Molinari. Il primo è parlamentare dal ’96, più volte presidente della Commissione Bilancio, già ministro. In sostanza, quello di Giorgetti è un curriculum che si attaglia al ruolo di presidente di Camere. Oltretutto Salvini confinerebbe un avversario interno in un incarico istituzionale. L’altra soluzione rimanda a Molinari. Piemontese, classe ’83, salviniano, per un attimo vicino a Giorgetti, e oggi ancora una volta molto legato al segretario di via Bellerio. In questo contesto Forza Italia riceverebbe delle compensazioni ministeriali perché, come dicono gli azzurri, «una presidente della Camera vale almeno due ministeri di peso». Così le quotazioni di Tajani sarebbero in forte ascesa per la carica di ministro degli Esteri e avrebbero certo un ruolo di primo piano Licia Ronzulli e Anna Maria Bernini.

Di tutto si è parlato nel corso di un vertice che si è concluso dopo un paio di ore. A sera fonti di centrodestra utilizzano la formula che «sono stati fatti dei passi in avanti ed è volontà comune della coalizione procedere più speditamente possibile», così da avere «un governo forte e capace di rispondere alle urgenze del Paese, a partire dall’emergenza dovuti ai costi dell’energia». Tradotto dal politichese, bisognerà aspettare per la composizione delle caselle ministeriali. «Non c’è ancora un accordo» osservano. Non a caso il totoministri continua a impazzare. Fra gli altri nega di esser stato contattato dalla leader di Fratelli d’Italia, Franco Bernabé, tirato in ballo come potenziale ministro della Transizione ecologica, che alla Stampa dice: «È noto che sul piano della visione politica io non appartengo a quello schieramento». Anche se c’è chi sostiene che in realtà si era autoproposto con una serie di interviste. Ma è ancora presto. Tutto può succedere.


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