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Giorgia Meloni

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La Meloni paga ora la scelta dei suoi alleati di avere fatto cadere Draghi nel momento più complicato della storia recente per i conti pubblici e per l’economia italiana. Questo inevitabilmente si ritorce contro la coalizione vincente che è alle prese con la ricerca di un timoniere all’altezza dell’economia e che, soprattutto, non potrà avere nemmeno un minuto di luna di miele con gli italiani. Sarebbe stato utile almeno rendersi conto che arrivare fino a marzo con il governo di unita nazionale avrebbe significato ricevere un’investitura popolare di governo in un momento in cui non hai più la manovra da fare e puoi ragionevolmente disporre di un quadro di finanza pubblica che Draghi avrebbe preservato con la sua forza di trattativa in sede europea. C’è di più: l’arrivo al potere avrebbe coinciso anche con le linee guida del nuovo patto di stabilità europeo già determinate dove pure la presenza di Draghi avrebbe pesato molto a nostro favore. E invece adesso l’inflazione è al picco e in due settimane devi fare la manovra più difficile della storia recente del Paese

Senza una cornice europea di interventi mirati sul caro energia lo scenario italiano è brutalmente semplice. O collassa l’economia o collassa il bilancio pubblico. Perché servono e serviranno decine e decine e ancora decine di miliardi che nessun bilancio pubblico nazionale europeo, nemmeno quello tedesco, tanto meno quello italiano, può alla lunga sostenere. Per nostra fortuna, ancora una volta, la linea Draghi avanza in Europa su tutti i fronti – dal tetto dinamico al prezzo a un elemento nuovo di solidarietà fino alla riforma del mercato – ma come sempre accade in questa Europa federale incompiuta la fase negoziale è molto lunga e complessa.

Di sicuro troppo lunga rispetto alla urgenza delle esigenze delle imprese europee in generale e italiane in particolare. La proposta della Commissione europea arriverà al prossimo consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre e il ritardo con cui ci si avvia a compiere questa scelta politica l’Europa lo sta già pagando con il rischio di una nuova recessione che non avrebbe avuto se avesse agito prima. Avere immotivatamente indebolito Draghi come presidente del Consiglio dai pieni poteri al disbrigo degli affari correnti è stato un errore grave di alcuni partiti della coalizione di governo uscente puniti dagli elettori che determina un costo rilevante per l’intera Europa e, ancora più pesante, per il nostro Paese e in modo speciale per chi con tutti i crismi della sovranità popolare è stato chiamato a guidarlo.

Questi sono i fatti. La Meloni paga ora la scelta dei suoi alleati di avere fatto cadere Draghi nel momento più complicato della storia recente per i conti pubblici e per l’economia italiana. Questo inevitabilmente si ritorce contro la coalizione vincente che è alle prese con la ricerca di un timoniere all’altezza dell’economia e che, soprattutto, non potrà avere nemmeno un minuto di luna di miele con gli italiani. È bene rendersi conto che la miopia di avere fatto cadere Draghi anticipatamente coincide anche con la narrativa di una nuova storia politica che porta al debutto della destra nel momento più nero. Tutto ciò, però, non è frutto di una stagione avversa o di una fatalità, ma è piuttosto il prodotto diretto di comportamenti e di scelte politiche che misurano la lontananza dalla realtà dei partiti e dei capi partito, Lega e Forza Italia in primis, che hanno determinato questa situazione.

Sarebbe stato utile almeno rendersi conto che arrivare fino a marzo con il governo di unità nazionale avrebbe significato ricevere un’investitura popolare di governo in un momento in cui non hai più la manovra da fare e puoi ragionevolmente disporre di un quadro di finanza pubblica che Draghi avrebbe preservato con la sua forza di trattativa in sede europea. C’è di più: l’arrivo al potere avrebbe coinciso anche con le linee guida del nuovo patto di stabilità europeo già determinate dove pure la presenza di Draghi avrebbe pesato molto a nostro favore.

Così come, almeno stando alle previsioni, il nuovo governo si sarebbe dovuto misurare con un’inflazione che comincia a scendere mentre oggi è al picco e in due settimane due devi fare la manovra più difficile della storia recente del Paese. Ci preoccupa il giusto che tutto ciò si ritorce contro chi assumerà la guida del governo e se, come tutto lascia presumere, sarà la Meloni, siamo anche fiduciosi che proceda sulla strada della responsabilità che si è imposta e sulla sua capacità di dotarsi di una squadra all’altezza della sfida che per lei è quella della vita.

Noi come cittadini italiani dobbiamo assolutamente augurarci che ciò avvenga e le istituzioni italiane ai massimi livelli debbono accompagnare con impegno e determinazione questo processo perché la situazione interna e internazionale chiede di chiamare a raccolta tutte le risorse del Paese. Vogliamo, però, ribadire in questi giorni che precedono l’insediamento del nuovo Parlamento con i nuovi vertici e l’incarico del Capo dello Stato presumibilmente alla Meloni per formare il nuovo governo che la sottovalutazione dei fenomeni o più banalmente la stupidità fatta di calcoli di bottega errati non sono mai gratis per la comunità di un Paese e non servono a niente ai partiti perché le scorciatoie non pagano mai. C’è una grande lezione da trarre da tutto ciò. Perché arrivare a marzo difficilmente avrebbe cambiato il giudizio degli italiani nell’urna, ma avrebbe dato ai vincitori una prospettiva quasi normale di governo.

Al netto ovviamente di una deflagrazione del fenomeno bellico in disastro nucleare che azzererebbe per il mondo intero ogni tipo di ragionamento e che non deve assolutamente appalesarsi. A marzo, forse, fuori dalla buriana, si poteva cominciare anche con qualche misura di bandiera sulla famiglia che ti consolidava il consenso e avevi dei margini di tempo e di finanza pubblica per fare qualcosina di più identitario. Ora non puoi fare manovre di bandiera e hai davanti una parete ripidissima da scalare. Non ti puoi neppure permettere di non riuscirci. Almeno noi la pensiamo così


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