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POTENZA – Si sarebbero armati e lo avrebbero aspettato sotto casa: la vittima, Donato Abruzzese, il suo amico factotum, e una terza persona di cui nessuno aveva mai parlato prima, che è poi chi avrebbe portato le pistole.

E’ quello che sostiene il nuovo testimone “evocato” ieri mattina davanti alla Corte d’appello di Potenza dalla difesa dell’ex boxeur Dorino Stefanutti (56), condannato in primo grado a 24 anni per l’omicidio di via Parigi.

Si tratta di Gianfranco Siesto, un 48enne potentino, che la sera del delitto, il 29 aprile del 2013, era a cena con Stefanutti e Abruzzese. Prima dell’appuntamento tra i due in strada e della sparatoria sotto casa del secondo, in cui Abruzzese è rimasto ucciso.

Siesto, di recente condannato per estorsione e rapina, era stato già sentito dagli investigatori della Squadra mobile di Potenza 3 giorni dopo il fattaccio, ma non aveva mai fatto riferimento ad armi e quant’altro. Sostiene di aver saputo queste informazioni soltanto in seguito, e direttamente dalla persona che adesso chiama in causa. Per questo gli avvocati di Stefanutti, Salvatore Staiano e Rita Di Ciommo, che da sempre sostengono la tesi della «trappola» e della «legittima difesa», hanno chiesto di riaprire il dibattimento per sottoporlo a un regolare interrogatorio.

Durissima la reazione dei familiari di Abruzzese, assistiti dagli avvocati Angela Pignatari e Gugliemo Binetti.

L’avvocato Pignatari si è opposto evidenziando che per queste dichiarazioni Siesto è già imputato della Procura di Potenza con l’accusa di calunnia. Ma al termine dell’udienza la Corte d’appello non ha sciolto la riserva sull’ammissione del nuovo testimone, rinviando la decisione al 18 novembre. Solo in quella data si deciderà il da farsi, intanto le difese sono state già invitate a preparare le discussioni.

Prima dell’istanza dei legali di Stefanutti aveva preso la parola la pubblica accusa, chiedendo la conferma della condanna per omicidio, con una piccola riduzione di pena, da 24 a 20 anni. Uno sconto dovuto a un errore nel computo effettuato dal gup, al termine del processo di primo grado, che si è svolto con il rito abbreviato.

L’ex boxeur, considerato lo storico braccio destro del boss Renato Martorano (in carcere a regime di 41bis per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso), conosceva bene la vittima, Donato Abruzzese (44), imprenditore specializzato nella rivendita di videopoker.

La loro frequentazione era un fatto noto ma nell’ultimo periodo, e soprattutto nei giorni che hanno preceduto l’omicidio diversi testimoni sentiti dagli investigatori hanno raccontato del gelo calato tra i due.

Gli inquirenti hanno sempre sospettato che dietro vi fossero questioni legate alla gestione del business dei videopoker. Uno scenario confermato anche dalle ultime indagini avviate dalle dichiarazioni del figlio di Stefanutti, Natale, che da novembre dell’anno scorso ha iniziato a collaborare con la giustizia. Ma in primo grado il gup ha escluso che l’omicidio fosse collegato agli interessi dello storico clan del capoluogo. Come pure la tesi della legittima difesa invocata da Stefanutti dal momento in cui si è consegnato in Questura con un buco nella coscia rimediato nella sparatoria. Dopo una “fuga” misteriosa durata 5 giorni.
L’ex boxeur ha raccontato agli inquirenti di aver rifiutato di fare da padrino al figlio di Abruzzese e di aver discusso con lui, poche ore prima del loro incontro a via Parigi, sotto casa della vittima, su chi dovesse offrire da bere all’altro in un noto ristorante di Potenza.

Stando sempre al racconto dell’unico imputato la calibro 9 semiautomatica che ha esploso 11 colpi, 5 dei quali sono andati a segno sul corpo di Abruzzese sarebbe stata portata sulla scena del crimine da un amico della vittima, che aveva “convocato” Stefanutti sotto casa sua per un chiarimento dopo la discussione nel ristorante per il suo rifiuto di fare da padrino al figlio. Poi una volta arrivato sotto casa del “compare mancato” avrebbe trovato l’amico con la pistola in mano, l’avrebbe disarmato e avrebbe cominciato a sparare rispondendo al fuoco aperto da Abruzzese che intanto era sopraggiunto dalle scale.

A smentire la versione di Stefanutti sono stati la vedova di Abruzzese che ha assistito all’antefatto della sparatoria dal balcone di casa e lo stesso amico di Abruzzese accusato di aver portato la calibro 9, che l’ex pugile ha raccontato di aver gettato via ma quando sono arrivati gli agenti del 113 era già scomparsa.

A nasconderla sarebbe stato sempre l’amico di Abruzzese che a distanza di qualche ora ha indicando il posto dove l’aveva messa assieme alle altre due che hanno sparato quella sera: una piccola 6,35 che ne ha esplosi 4, ferendo Stefanutti a una coscia; e un revolver 10,35 con una macchia di sangue sulla canna che ne avrebbe esploso uno solo.

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